..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

mercoledì 1 settembre 2010

INTERISTERIA

E’ iniziata la Serie A TIM di calcio; per la Juve è iniziata come era finita: con una sconfitta. Siamo uomini, viviamo di emozioni spesso incontrollabili ed un inizio del genere, appiccicatosi alla fine della scorsa stagione come la coda del cavallo al proprio sedere, ci fa cadere nella prostrazione più profonda.
Prostrazione che aumenta se la squadra più nobile dei navigli acquista il totem, l’uomo chiamato scudetto (ma non Coppacampioni…); che diventa rabbia autentica se Giovinco fa un paio di assist contro il Brescia di Diamanti. E che ca…spita! Quelli là si comprano il fenomeno! Quegli altri resuscitano i nostri ex! Perdonatemi amici: vi voglio sinceramente bene, a tutti, perché abbiamo qualcosa di importante in comune, ma per piacere risparmiatemi, anzi: risparmiatevi le nostalgie nerazzurre del bel tempo che fu!

Per quattro anni John Elkann e sodali hanno instillato il virus dell’interistizzazione in Corso Galileo Ferraris; per fortuna è tornato un Agnelli appena in tempo per evitare l’orribile metamorfosi; evitiamo che questo raccapricciante esperimento genetico si compia su noi stessi; evitiamo le fobie tipiche di una tifoseria che, nomen omen: i bauscia, non ha mai capito nulla di calcio!
Andiamo per gradi: l’immonda triade, quella 2006/’10, ha consegnato nelle mani di Andrea Agnelli un disastro: economico, in quanto la “Juve in B” costò alla Juve 300 mln €, lira più, lira meno, ripianati, si fa per dire, con le svendite di sette campioni e con 105 mln € di ricapitalizzazione reale; al saldo, quindi, mancano diversi dindini… Disastro tecnico, in quanto i campioni svenduti sono stati sostituiti o con brocchi memorabili o con giocatori di buon livello pagati come fenomeni e collocati avulsi dal contesto tattico. Sorvolo sul disastro giudiziario e su quello politico, perché tutti voi ne siete perfettamente a conoscenza.
Detto questo, è evidente che la nuova dirigenza si trovi di fronte non ad una semplice ricostruzione, ma al tentativo di realizzare un’impresa; anzi: un miracolo, visti i tempi stretti che i suoi tifosi le chiedono.
Quindi: cosa è stato fatto per realizzare l’impresa? Si è rivoluzionata l’area tecnica, tutta, dai massaggiatori fino al DS; si è puntato sul ringiovanimento della rosa e su operazioni di mercato modestamente onerose (Motta diverrà un esempio in tal senso); sono stati acquistati giocatori che rientrano perfettamente nell’ottica di un progetto tattico coerente e pianificato.
E qui il tifoso ha, per forza di cose, qualcosa da dire: vanno via i vecchi campioni e arrivano le mezze figure; il Milan compra Ibra; a Parma Giovinco fa il fenomeno; Borriello ci fa comodo: è forte, non solo in camera da letto.
Vi capisco, ma sinceramente non vi condivido. Senza un progetto di squadra non c’è campione che possa risolvere l’equazione Scudetto/Champions’ League (magari un paio di partite), altrimenti il Barça con Ibrahimovic avrebbe stravinto tutto l’anno scorso.
Senza avere il coraggio di scommettere sul proprio lavoro, anche quando gli inizi parrebbero ricondurti agli orridi lidi della passata stagione, si rischia di buttar via il bambino con l’acqua sporca, ovvero si rischia di farsi rincorrere dalla frenesia, dalla ricerca spasmodica del santino a cui votarsi, sia esso un ex di lusso o un giovane appena spedito a ri-farsi le ossa.
E’ inaccettabile per noi, che mai ci hanno soprannominati bauscia e che quindi di calcio ne capiamo, cadere nelle tentazioni da calciomercato permanente tipiche di chi da sempre è soprannominato bauscia.
Noi sappiamo, o dovremmo sapere, che Ibra a 8/9 milioni netti l’anno a Torino non ci verrà mai: perché quattro anni fa fu il primo a far le valige e perché comunque dargli quei soldi, che neppure la triade ha mai dato a nessuno in dodici anni di onorato servizio, vorrebbe dire innescare una bomba all’interno dello spogliatoio.
Noi sappiamo, o dovremmo sapere, che esistono giocatori “alla Miccoli” la cui dimensione ideale è in provincia e non nella grande squadra e per questo motivo a Torino passano come meteore.
Noi sappiamo, o dovremmo sapere, che senza un’intelaiatura fatta di buoni professionisti e di giocatori di grande prospettiva la squadra non sta su; il campione non serve, anzi: avulso dal gioco o intruppato nella mediocrità fa la fine di un Diego qualsiasi; con i Di Livio e i Torricelli si gettano le basi; con gli Zidane e i Del Piero, si fa il salto di qualità.
Ecco perché, nonostante anch’io abbia gli stessi vostri mal di pancia, e non sarebbe normale non averne dopo questi ultimi anni, ritengo che comunque la strada intrapresa sia quella giusta e vi prego di credermi se vi dico che non è quella che porta estemporaneamente ad un “fenomeno” di trent’anni, ma è quella che porta a ri-creare un ambiente che plasmi dei buoni giocatori in professionisti che sanno cosa vuol dire vincere, che dia loro il tempo per costruire, invece che porsi un termine atto solo a distruggere.
Credetemi, perché il senso di queste mie parole è un copyright violato; se avete orecchie per ascoltare, infatti, è il senso delle parole di Andrea Agnelli.

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