Dalle sei pagine della Legge di Bilancio sono emersi quei provvedimenti che dovranno impattare positivamente sul futuro del Paese. Tra le varie misure elencate le principali riguarderanno gli anziani, la famiglia e la disabilità.
Queste ultime dovrebbero avere risorse pari a 100 milioni per il 2020, a 265 per il 2021 e a 478 per il 2022.
Tre fondi distinti che si snoderanno tra la tutela per il diritto al lavoro, il trasporto delle persone e i caregiver. Due i temi che voglio portare all'attenzione dopo quanto emerso dalle specifiche dei fondi destinati: i caregiver e il sostegno.
Tra i caregiver, riconosciuti dal comma 255 art. 1 della legge di bilancio 2018 ma ancora non normati da una legge che ne disciplini diritti e doveri, le problematiche continuano ad essere molteplici e nello specifico non sono ancora state dettagliate misure e risorse. Causa la totale inadeguatezza e/o assenza di servizi a cui fare affidamento milioni di persone (in Italia si contano 9 milioni di disabili che vengono assistiti da oltre 7 milioni di potenziali caregiver, di cui il 60% sono donne tra i 45 e 55 anni) si sono dovute dedicare a tempo pieno alle cure e all'assistenza dei propri cari. Lavoratrici e lavoratori a tutti gli effetti che nel nostro Paese sono praticamente senza diritti e vanno incontro ogni giorno a difficoltà che potrebbero essere superate se solo ci fosse una rete e un riconoscimento dell'importanza sociale della loro attività.
Il ddl 1461, legge Nocerino, un testo atteso da famiglie e associazioni e promesso da tempo, dal momento che l'Italia è l'unico Paese in Europa a non riconoscere e tutelare questa figura, si arricchisce e si aggiorna di 11 articoli dedicati a definizioni, procedure e tutele che però non può soddisfare a pieno.
Nell'articolo 4, ad esempio, si descrive la procedura per la "nomina", e tra i documenti richiesti c'è "l'atto di nomina, sottoscritto dall'assistito". Il caregiver viene nominato dunque direttamente "dall'assistito, personalmente o attraverso l’amministratore di sostegno, ovvero, nei casi di interdizione o di inabilitazione, attraverso il tutore o il curatore". Ma se l'assistito è un minore, il cui affido è assicurato per legge al genitore stesso che se ne occupa, come può essere nominato, e da chi, il caregiver?
Nell'articolo relativo alla tutela previdenziale (art. 5) "al caregiver familiare non lavoratore è riconosciuta la copertura di contributi figurativi, equiparati a quelli da lavoro domestico, a carico dello Stato, nel limite complessivo di tre anni". Un lasso di tempo insufficiente che cozza inevitabilmente con le costrizioni temporali di chi deve prendersi cura del disabile.
E se positivi sono molti dei punti articolati, vedi l'articolo 6 che elenca interventi di sollievo, di emergenza o programmati, mediante l’impiego di operatori socio-sanitari o socio-assistenziali in possesso della qualifica professionale, rimane il ragionevole dubbio che senza le risorse necessarie difficilmente si potranno concretizzare interventi e programmi.
Il ddl 1461, legge Nocerino, un testo atteso da famiglie e associazioni e promesso da tempo, dal momento che l'Italia è l'unico Paese in Europa a non riconoscere e tutelare questa figura, si arricchisce e si aggiorna di 11 articoli dedicati a definizioni, procedure e tutele che però non può soddisfare a pieno.
Nell'articolo 4, ad esempio, si descrive la procedura per la "nomina", e tra i documenti richiesti c'è "l'atto di nomina, sottoscritto dall'assistito". Il caregiver viene nominato dunque direttamente "dall'assistito, personalmente o attraverso l’amministratore di sostegno, ovvero, nei casi di interdizione o di inabilitazione, attraverso il tutore o il curatore". Ma se l'assistito è un minore, il cui affido è assicurato per legge al genitore stesso che se ne occupa, come può essere nominato, e da chi, il caregiver?
Nell'articolo relativo alla tutela previdenziale (art. 5) "al caregiver familiare non lavoratore è riconosciuta la copertura di contributi figurativi, equiparati a quelli da lavoro domestico, a carico dello Stato, nel limite complessivo di tre anni". Un lasso di tempo insufficiente che cozza inevitabilmente con le costrizioni temporali di chi deve prendersi cura del disabile.
E se positivi sono molti dei punti articolati, vedi l'articolo 6 che elenca interventi di sollievo, di emergenza o programmati, mediante l’impiego di operatori socio-sanitari o socio-assistenziali in possesso della qualifica professionale, rimane il ragionevole dubbio che senza le risorse necessarie difficilmente si potranno concretizzare interventi e programmi.
Per quel che invece riguarda il sostegno all'interno del percorso scolastico non si è letto alcun provvedimento e conseguenti risorse che tutelino l'alunno disabile.
Una lacuna che richiama le continue richieste (inascoltate) del ministro dell'istruzione Lorenzo Fioramonti: "Negare il sostegno è una cosa gravissima. Bisogna assolutamente fare in modo che si arrivi ad individuare il problema prima che inizi il nuovo anno scolastico."
Ma la totale assenza di risorse destinate a supplire una problematica che ha visto nell'ultimo anno un ulteriore aumento di 10 mila alunni disabili fa si che viene difficile credere e sostenere che in quello prossimo andrà meglio, considerando che la stragrande maggioranza delle supplenze annuali, con scadenza 30 giugno, parliamo di oltre 50 mila contratti, vengono assegnate a precari privi del titolo d’insegnamento di didattica speciale. E quest'anno sono stati messi a concorso, dalle Università, la pochezza di 14 mila posti. Non un caso che negli otto anni fin'ora trascorsi dai miei due figli disabili nel percorso scolastico sia stata messa a disposizione una sola maestra, a un solo bambino e per un solo anno, con il titolo di sostegno. Condizione che non solo ha precluso un insegnamento mirato e professionale, ma non ha nemmeno garantito quella continuità indispensabile per consentire tanto al docente quanto e soprattutto all'alunno di programmare un lavoro a lungo termine e instaurare un rapporto che vada oltre il mero linguaggio didattico.
Ma la totale assenza di risorse destinate a supplire una problematica che ha visto nell'ultimo anno un ulteriore aumento di 10 mila alunni disabili fa si che viene difficile credere e sostenere che in quello prossimo andrà meglio, considerando che la stragrande maggioranza delle supplenze annuali, con scadenza 30 giugno, parliamo di oltre 50 mila contratti, vengono assegnate a precari privi del titolo d’insegnamento di didattica speciale. E quest'anno sono stati messi a concorso, dalle Università, la pochezza di 14 mila posti. Non un caso che negli otto anni fin'ora trascorsi dai miei due figli disabili nel percorso scolastico sia stata messa a disposizione una sola maestra, a un solo bambino e per un solo anno, con il titolo di sostegno. Condizione che non solo ha precluso un insegnamento mirato e professionale, ma non ha nemmeno garantito quella continuità indispensabile per consentire tanto al docente quanto e soprattutto all'alunno di programmare un lavoro a lungo termine e instaurare un rapporto che vada oltre il mero linguaggio didattico.
Sono una delle tante mamme italiane che si dedica e si occupa a tempo pieno dei propri figli disabili, che ha dovuto improvvisamente interrompere il proprio lavoro e che vorrebbe semplicemente avere le strutture adatte, l'assistenza necessaria e quelle figure professionali che possano offrire un domani migliore. A 45 anni, con un mondo del lavoro sempre più distante, sarebbe bene che venga riconosciuta l'importanza dell'attività sociale svolta, normata finalmente da una legge che possa garantire e disciplinare diritti e doveri.
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