Pubblichiamo un intervento dell’avvocato e docente di diritto sportivo, Paco D’Onofrio, a proposito della decisione del Tar di rigettare il ricorso presentato da Luciano Moggi contro la squalifica decisa nell’ambito del processo Calciopoli.
La sentenza pronunciata dal Tar del Lazio nei confronti di Luciano Moggi risulta singolare per alcuni aspetti e manchevole per altri. Innanzitutto i giudici amministrativi sono istituzionalmente investiti del potere di esprimersi sulla legittimità dell’azione delle pubbliche amministrazioni, nel nostro caso della Figc, vale a dire di censurare ed annullare gli atti ed i provvedimenti assunti in violazione della legge oppure nei casi si eccessi di potere.
Nel caso della recedente sentenza, invece, il Tar finisce per diventare giudice di merito, vale a dire di interessarsi della fondatezza e della completezza delle intercettazioni telefoniche, nonché della presunta sudditanza psicologica degli arbitri, addirittura arrivando a considerare i “falli” compiuti sul campo da giocatori della società protetta”, quasi come si volesse ulteriormente celebrare un ennesimo processo sulla colpevolezza di Moggi.
Il giudizio davanti al Tar, per legge, è finalizzato solo ed esclusivamente a verificare l’irregolarità e l’illegittimità delle decisioni federali, mentre in questo caso si è sottoposto a nuovo giudizio chi chiedeva giustizia!
Nella sentenza si specifica che le intercettazioni erano assolutamente idonee a formare prova a carico di Moggi, benché palesemente parziali ed incomplete, poiché, anche se la Figc avesse avuto tutte le intercettazioni disposte, la posizione dello stesso ex dg della Juventus non sarebbe cambiata: non importa che, forse, molti altri adottavano la stessa modalità con i designatori arbitrali e che, quindi, non si dovrebbe parlare di “metodo Moggi” ma, semmai di “metodo federale”. Tuttavia, ciò di cui proprio i giudici del Tar non riescono a dar conto è la non giudicabilità in ambito federale di chi, dimissionario prima dell’inizio del processo, non fa più parte dell’ordinamento sportivo.
Se durante calciopoli si è deciso di procedere contro ogni logica giuridica, poiché chi si voleva condannare era da tempo già dimissionario, la stessa Federazione, in un procedimento successivo, correttamente considerava la impossibilità di procedere nei confronti di Moggi, poiché oramai estraneo al sistema sportivo. Questa evidente contraddittorietà è stata sollevata all’attenzione del Tar del lazio che, tuttavia ha deciso di non decidere!
Ancora, nella sentenza, tentando di dare legittimazione allo straripamento federale, si paragona Moggi ad un pubblico dipendente, che risulta passibile di procedimento disciplinare anche se è cessato dal servizio. In sostanza , con questo accostamento si ignora che un Ds non presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e che, forse, l’interesse nazionale al buon andamento della Pubblica Amministrazione sia difficilmente rinvenibile in una partita di calcio.
Risponde Luciano Moggi:
Lette le considerazioni dell’avvocato D’Onofrio, vi dico la mia punto per punto.
1) La sentenza mi dà ragione su un punto fondamentale: quello della sussistenza della giurisdizione amministrativa sulle sanzioni disciplinari comminate dal giudice sportivo, così respingendo il tentativo pregiudiziale della Figc.
2) Mi viene invece dato torto su un altro punto: quella della caduta del potere disciplinare della stessa Figc dopo le mie dimissioni e quindi in un momento successivo alla caduta del vincolo associativo. Su questo è già pronto l’appello al Consiglio di Stato.
3) In tale appello si provvederà a censurare alcune affermazioni di questi giudici palesemente erronee, visto che sono assolutamente in grado di dimostrare che – con riferimento alla “questione intercettazioni” – non è vero che i miei avvocati hanno omesso di notificare il ricorso alla Telecom e tantomeno che negli atti prodotti dagli stessi si sisa omesso di indicare e documentare gli episodi di disparità di trattamento su cui fondano la censura di eccesso di potere , sbrigativamente liquidata come inammissibile dal Tar.
4) Nella sentenza c’è un paragrafo da cui emerge la sostanziale disparità di trattamento con gli altri soggetti giudicati dalla Figc e dalla Camera Arbitrale del Coni: è la parte dedicata ad un’ulteriore rivisitazione del concetto di illecito sportivo che, per il Tar, solo per il sottoscritto, torna ad essere reato di semplice pericolo a consumazione anticipata, mentre tutti gli altri (Società e tesserati)si sono tranquillamente potuti avvalere delle sostanziali modifiche dottrinarie di Rupero e Sandulli che, invece, hanno fondato le loro decisioni andando a valutare in concreto gli effetti delle varie condotte incriminate.
5) E poi, ancora in tema di intercettazioni, è incredibile che il Tar abbia ritenuto, oltre che utilizzabili, quelle contro di me, “sufficienti a supportare l’intero impianto probatorio”. Mi sembra di cogliere una mancanza di rispetto dei miei diritti nel momento in cui viene formulato un giudizio di così grave portata, poiché legittima solo certe frasi estrapolate da un numero limitatissimo di intercettazioni che è facile leggere, con diversa chiave, addirittura come favorevoli alle mie tesi. A queste conclusioni non saremo mai arrivati se, dopo aver esaminato tutte quelle raccolte, se ne fosse verificata l’autenticità confrontando il contenuto dei primi brogliacci con quello effettivo, allo scopo di andare a vedere cosa era effettivamente accaduto anche in danno alla Juve. Si tratta di un giudizio assolutamente parziale in quanto è impensabile che il Tar non si sia posto il problema di esaminare le classifiche finali dei vari campionati, di quel periodo, che si erano conclusi con le vittorie di Milan, Roma e Lazio. E’ credibile che il sottoscritto faticasse tanto per instillare la sudditanza e poi fossero altri a vincere?
6) In conclusione: nessuna partita taroccata, nessun arbitro corrotto e colpe assegnate in un’unica direzione. Cui prodest?
Luciano Moggi
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