..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

giovedì 16 ottobre 2008

APRIAMO L'UNIVERSITA' AI POVERI

Nei tempi di crisi finanziaria, e quando si preannuncia una recessione di incerta durata, è giusto preoccuparsi di chi perde o rischia di perdere gran parte dei suoi risparmi e dei suoi investimenti. Ma è altrettanto giusto occuparsi di chi soldi da perdere non ha mai avuto e a questo punto rischia di non averne nemmeno in un futuro prossimo o lontano. Ha perfettamente ragione la Caritas che nel rapporto pubblicato poche ore fa afferma che le misure (non) adottate in Italia per contrastare la povertà sono le meno efficaci d’Europa. Perciò ha fatto bene Maurizio Ferrera a rilanciare, sul Corriere della Sera, la questione dei giovani poveri presa in esame nel luglio scorso dal “libro verde” del governo sulla condizione dei giovani e delle loro famiglie. L’Italia, paese ultraprotezionista verso gli insiders in attività o in pensione (non tutti, è vero, ma il caso delle erogazioni regali destinate ai dipendenti dell’Alitalia che saranno licenziati è rivelatore delle aree di privilegio sottostanti alla multiforme presenza dello Stato nell’economia) sembra indifferente alla condizione degli esclusi, né si preoccupa di come far funzionare gli ascensori sociali che ogni paese – compresa la vituperata America neo-liberale - cerca di mettere a disposizione dei più meritevoli e volonterosi. L’obiettivo del “libro verde” non è soltanto economico. Si propone, come recita il suo senechiano titolo “La vita buona nella società attiva”, l’ambiziosa sfida di “riproporre la centralità della persona, in sé e nelle sue proiezioni relazionali a partire dalla famiglia” attraverso un Welfare delle opportunità che si rivolge alla persona nella sua integralità, capace di rafforzarne la continua autosufficienza perché interviene in anticipo con una offerta personalizzata e differenziata, stimolando comportamenti e stili di vita responsabili, condotte utili a sé e agli altri“. Sono parole del ministro Maurizio Sacconi.
In Italia la componente più rilevante della spesa complessiva per prestazioni di protezione sociale è rappresentata dal capitolo della previdenza con il 66,7 per cento mentre la sanità rappresenta circa il 24 per cento e l’assistenza solo l’8,1 per cento. Cifre che ci differenziano enormemente dal resto d’Europa non per la spesa sanitaria, più o meno in linea, ma per l’elevatissima percentuale destinata alle pensioni e la corrispondente infima percentuale destinata all’assistenza. Visto che non sembrano questi quarti di luna adatti a riaprire la questione dell’innalzamento dell’età pensionistica (anzi, fate finta di non aver neppure letto questo concetto!) come intervenire sui giovani che vogliono studiare ma non hanno i mezzi per farlo? Nel ”libro verde“ si descrive la situazione ma è difficile intravedere soluzioni. Ferrera allora propone un assegno destinato ai poveri che studiano, condizionandone il versamento a una regolare partecipazione scolastica, e osserva che senza sostegni mirati e tangibili è difficile che i giovani poveri possano diventare parte della società attiva che Sacconi intende promuovere. Giusto l’obiettivo del ministro e giusta l’obiezione del professore. Ma come fare per rendere disponibili risorse che oggi non ci sono e domani, con molta probabilità, diminuiranno ancora? Qui soccorre la lettura di un recente libro di Roberto Perotti (L’università truccata, Einaudi). In cui, fra le altre cose, si denuncia il carattere classista dell’università di massa a basso costo e si propone l’aumento delle rette.
Questa è secondo Perotti la chiave, da un lato, per operare una selezione dal basso fra i diversi istituti, affidandola agli studenti e ai genitori pagatori; dall’altro per correggere una feroce ingiustizia sociale nata e cresciuta sotto la maschera ideologica della giustizia sociale. All’Università, ricorda Perotti (ma da quanti decenni lo sentiamo ripetere nelle assemblee politiche da Antonio Martino...) vanno soprattutto i ricchi, che potrebbero pagare le rette di tasca propria, mentre la loro laurea viene finanziata con le tasse di tutti, compresi i poveri che all’Università non arrivano se non eccezionalmente. Con il risparmio derivante dall’innalzamento delle tasse universitarie sarebbe possibile garantire l’accesso gratuito dei poveri all’istruzione superiore attraverso borse di studio e prestiti d’onore. A me sembra che la cosa possa funzionare. Certo, bisognerebbe sfidare la ”pantera rossa“ che ruggisce ad ogni ottobrata romana, e poi arrugginisce. Ma questa volta la sfida vale la candela, perché si tratta di mettere in gioco il più stantio ma più resistente dei luoghi comuni, quello secondo cui le politiche liberali producono esclusione sociale. E’ vero il contrario, spesso sono le politiche ”sociali“ ad avere questo effetto. Ma, di fronte all’ipocrisia e all’opportunismo dei ”sociali“ di destra e di sinistra, forse i liberali devono riuscire ad affermare le loro soluzioni con qualche grano in più di cattiveria, di quell’agonistica salutare rabbia che è nutrita dalla consapevolezza del valore universale delle proposte che gli avversari diffamano.
di Marco Taradash

Nessun commento: