
In Italia la componente più rilevante della spesa complessiva per prestazioni di protezione sociale è rappresentata dal capitolo della previdenza con il 66,7 per cento mentre la sanità rappresenta circa il 24 per cento e l’assistenza solo l’8,1 per cento. Cifre che ci differenziano enormemente dal resto d’Europa non per la spesa sanitaria, più o meno in linea, ma per l’elevatissima percentuale destinata alle pensioni e la corrispondente infima percentuale destinata all’assistenza. Visto che non sembrano questi quarti di luna adatti a riaprire la questione dell’innalzamento dell’età pensionistica (anzi, fate finta di non aver neppure letto questo concetto!) come intervenire sui giovani che vogliono studiare ma non hanno i mezzi per farlo? Nel ”libro verde“ si descrive la situazione ma è difficile intravedere soluzioni. Ferrera allora propone un assegno destinato ai poveri che studiano, condizionandone il versamento a una regolare partecipazione scolastica, e osserva che senza sostegni mirati e tangibili è difficile che i giovani poveri possano diventare parte della società attiva che Sacconi intende promuovere. Giusto l’obiettivo del ministro e giusta l’obiezione del professore. Ma come fare per rendere disponibili risorse che oggi non ci sono e domani, con molta probabilità, diminuiranno ancora? Qui soccorre la lettura di un recente libro di Roberto Perotti (L’università truccata, Einaudi). In cui, fra le altre cose, si denuncia il carattere classista dell’università di massa a basso costo e si propone l’aumento delle rette.
Questa è secondo Perotti la chiave, da un lato, per operare una selezione dal basso fra i diversi istituti, affidandola agli studenti e ai genitori pagatori; dall’altro per correggere una feroce ingiustizia sociale nata e cresciuta sotto la maschera ideologica della giustizia sociale. All’Università, ricorda Perotti (ma da quanti decenni lo sentiamo ripetere nelle assemblee politiche da Antonio Martino...) vanno soprattutto i ricchi, che potrebbero pagare le rette di tasca propria, mentre la loro laurea viene finanziata con le tasse di tutti, compresi i poveri che all’Università non arrivano se non eccezionalmente. Con il risparmio derivante dall’innalzamento delle tasse universitarie sarebbe possibile garantire l’accesso gratuito dei poveri all’istruzione superiore attraverso borse di studio e prestiti d’onore. A me sembra che la cosa possa funzionare. Certo, bisognerebbe sfidare la ”pantera rossa“ che ruggisce ad ogni ottobrata romana, e poi arrugginisce. Ma questa volta la sfida vale la candela, perché si tratta di mettere in gioco il più stantio ma più resistente dei luoghi comuni, quello secondo cui le politiche liberali producono esclusione sociale. E’ vero il contrario, spesso sono le politiche ”sociali“ ad avere questo effetto. Ma, di fronte all’ipocrisia e all’opportunismo dei ”sociali“ di destra e di sinistra, forse i liberali devono riuscire ad affermare le loro soluzioni con qualche grano in più di cattiveria, di quell’agonistica salutare rabbia che è nutrita dalla consapevolezza del valore universale delle proposte che gli avversari diffamano.
di Marco Taradash
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