Tra due giorni si vota per il presidente degli Stati Uniti d'America. Negli altri giornali vi diranno qual è la posta in palio e vi spiegheranno tutti i risvolti possibili su scala planetaria in caso di vittoria dell'uno o dell'altro. A me non frega niente, perché se ciò fosse vero allora dovremmo seguire pure le elezioni del presidente cinese del quale invece a malapena ci ricordiamo il nome. Le elezioni americane si seguono perché sono uno show, con luci e coriandoli, musica e lacrime, con colpi di scena e fiumi di dollari. Si seguono come si segue il Grande Fratello o il festival di Sanremo, con l'unica differenza che lì cantano in americano. Come fa Springsteen e ciò da solo basta per seguirlo più di Sanremo. Lo so, non è bello dirlo così sfacciatamente. Non fa cool, non è politically correct. E soprattutto - ti dicono - fai la figura del provinciale, dell'italiano medio ottuso di fronte alla crisi del mondo. Chi non coglie l'emergenza della svolta storica all'orizzonte è crazy, un matto, un folle. Gli scatoloni dei dipendenti della Lehman, il crac di Wall Street, il piano di salvataggio: suvvia, ci sono di mezzo i destini del mondo.
Meglio il wrestling
E allora? Non ci pensano gli americani, dovrei preoccuparmi io? Io la penso esattamente come gli americani. Quelli che fanno la coda per vedere il wrestling, con la cisterna di pop corn in una mano e la tanica di Cocacola ghiacciata nell'altra. Quelli che lo Stato gli deve far pagare meno tasse possibile e poi fuck off, non rompetemi più i coglioni. Io sto con l'America che prima di invadere l'Iraq aveva già invaso il mondo di americanate. Americanate che adoro, ovviamente. Tant'è che io sono il miglior commentatore sulla piazza di cose americane, perché in questo momento sto ragionando da americano medio. Cioè da americano vero. Come mi piacerebbe smanettare davanti a una slot machine elettorale: beati loro che non hanno né le cabine, né gli scrutatori che ti pregano di posare il telefonino, né le matite. beati loro che nel caos globale dividono ancora la realtà in giusto o sbagliato, in buoni o cattivi, in proprietà privata e bene collettivo, in ketchup o senza ketchup. Dici niente?
Non ho letto una riga delle noiosissime analisi macropolitiche, geopolitiche, socialpolitiche, econometriche e antropologiche. So tutto invece di Sarah Pallin, dei suoi arrapantissimi stivaletti e dei suoi costosissimi vestiti pagati a sbafo. (Perchè Hillary, secondo voi, non ha fatto la cresta sul conto dei Democratici?). Adoro il suo sorriso di donna alla quale è stato messo in tasca un biglietto della lotteria e ora si gode il premio. Tutto il mondo la sta guardando, e lei, solo lei, può permettersi di rispondere: cazzo ti guardi?
Se fossi in lei, pregherei la notte per non vincere queste elezioni e non far cessare il gioco all'istante. Vuoi mettere? Perde, poi si dimette pure da governatore dell'Alaska e fa i soldi come commentatrice tv. O come calendar girl, senza nemmeno doversi mettere biotta.
Nell'album delle figurine presidenziale poi c'è Jhon McCain. Beh, McCain è il papà di Ricky Cunningham in Happy Days. Per questo può vincere, perchè è un americano qualsiasi. Bianco di carnagione. Il che stavolta centra. Martedì in America le chiacchere staranno a zero; per la prima volta si voterà tra un bianco e un nero, e allora vedremo quanta Hollywood c'è nella vera America.
Obama è un fighetta nero, giovane, ben vestito, sportivo, dalla parlantina sciolta. Non ha un capello fuori posto ed è coccolato dai potenti. E' uno da copertina. Insomma è un nero non nero. Infatti i veri neri americani lo prenderebbero a pedate perchè fa il furbetto.
McCain è solo americano. Obama è anche americano. Nel centrodestra italiano - lo so perchè in privato lo ammettono - tra Obama e McCain stravince il primo. Le donne impazziscono per lui. Ma non solo loro. Di quello che dovrebbe o potrebbe fare per l'America non si sa niente. E quel poco che qui si conosce è il resoconto di italianissime analisi di italianissimi commentatori. Prepariamoci alle spieghe della Melandri, la quale ci mostrerà in diretta il suo passaporto americano e ci vorrà spiegare come sono fatti gli States e di quanto sono moderni. E' vero, sono talmente moderni che infatti la sora Melandri l'hanno impacchettata e rifilata a noi, mica se la sono tenuta. E poi prepariamoci ai commenti di Veltroni, obamiano della primissima ora perchè lui ha un grande fiuto per i miti di cartone.
Le elezioni americane sono però un'altra cosa, sono una grande fiera della vanità. Vota chi ha un qualche interesse, inteso non nel senso esclusivamente economico. Tra il dover votare e il seguire in tv le elezioni del Presidente, i più scelgono la seconda opzione. E - questo è il bello - senza un minimo di rimorso.
Vincerà l'astensione
Vincerà Obama o McCain? I miei amici oltreoceano mi dicono che se l'affluenza sarà alta vincerà McCain, se invece resterà nella media vincerà Obama. Potrebbero avere ragione. Di certo hanno ragione su un altro fatto: il cittadino sceglierà il candidato più friendly, cioè più simpatico, più alla mano, più adatto per una sera in un locale. Dei destini del mondo, agli americani normali non gliene frega nulla; quanto ai destini dell'America, sanno bene che né uno né l'altro potranno incrinare quei valori di libertà (soprattutto la libertà di farsi i fatti propri) su cui è costruito il Paese dei miracoli. Prima di Barack e di Jhon vengono gli americani, uno per uno.
Ecco perchè l'astensione è il primo partito. E per il wrestling fanno la fila.
di Gianluigi Paragone
dal cartaceo di Libero di domenica 2 novembre 2008
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