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giovedì 11 dicembre 2008

L'UNICA VERA IDEA DI POLITICA ESTERA E' LA DOTTRINA BUSH

Barack Obama si è candidato e ha vinto le elezioni presidenziali americane presentandosi come il politico che avrebbe cancellato la “dottrina Bush” elaborata dopo l’11 settembre dai neoconservatori. Ma stando ai profili delle persone che ha scelto per la sua squadra di politica estera e di difesa sembra che non abbia ancora elaborato un’alternativa alla grande strategia bushiana post 11 settembre. Il timore è che questa alternativa non ci sia e che Obama voglia semplicemente tornare all’era pragmatica di Bush padre e del primo Bill Clinton, quella durante la quale si è sottovalutata la minaccia islamista e si sono create le basi per la Guerra santa di Osama bin Laden. E’ vero, come scrive Bret Stephens nell’articolo pubblicato qui sopra, che anche l’ultimissimo Bush junior, quello della seconda metà del suo secondo mandato, ha allentato i principi della sua dottrina, ma è anche vero che l’unico vero successo di politica estera di questi ultimi due anni è il “surge”, ovvero la nuova strategia politica e militare guidata dal generale David Petraeus che ha rimesso in sesto la situazione in Iraq.
La dottrina Bush è molte cose, spesso male interpretate, ma nasce dall’idea che il paradigma politico creato alla fine della Seconda guerra mondiale, impostato per contenere la minaccia comunista, non sia più adatto ad affrontare le nuove sfide globali poste dall’islamismo radicale. Il succo della dottrina è questo: dopo l’11 settembre, l’America è costretta a considerare gli stati che ospitano, sostengono e finanziano i gruppi terroristi come se fossero essi stessi terroristi. E deve essere pronta a usare lo strumento della guerra preventiva prima ancora che la minaccia letale si concretizzi, ma allo stesso tempo deve impegnarsi per promuovere il cambiamento di regime negli stati dittatoriali e per offrire un’alternativa democratica ai popoli sottomessi.
In campagna elettorale è stato proprio Obama, molto più di Hillary Clinton e ovviamente di John McCain, il candidato che ha promesso un vero cambiamento della politica estera americana. E gli elettori, specie alle primarie, lo hanno premiato soprattutto per questo. Obama era contrario alla guerra in Iraq, Hillary invece aveva posizioni e una carriera al Senato più in linea con quel filone interventista democratico che, a sprazzi, durante l’Amministrazione di suo marito Bill è riuscito a prendere il sopravvento.
La dottrina Bush, in realtà, nasce proprio negli anni clintoniani ed è contenuta in una lettera inviata nel gennaio 1998 a Clinton da un minuscolo centro studi di Washington, il Project for a New American Century, che chiedeva al presidente Clinton di considerare l’ipotesi di rovesciare il regime di Saddam Hussein. L’esito è stato una legge, l’Iraq Liberation Act, presentata da John McCain e Joe Lieberman, sponsorizzata da Al Gore, approvata all’unanimità al Senato e firmata con entusiasmo da Clinton. L’Iraq Liberation Act ha dichiarato solennemente che “la politica degli Stati Uniti deve sostenere il tentativo di rimuovere dal potere il regime guidato da Saddam Hussein e promuovere la nascita di un governo democratico che rimpiazzi quel regime”.
Obama non è un ideologo, è un politico pragmatico. Le prime mosse segnalano che nella sua Amministrazione non ci sarà spazio per la linea progressista, ma sembrano indicare un approccio più dialogante nei confronti dei nemici dell’America. L’Iran ha già risposto picche, con il suo ministro degli Esteri. Obama ovviamente ritenterà. Ma, se è davvero un politico pragmatico, in caso di fallimento sarà costretto a affidarsi, si spera non troppo tardi, alla dottrina Bush, ancora oggi l’unica seria strategia disponibile contro la guerra santa islamista.

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