..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

martedì 20 gennaio 2009

IL BOMBAROLO MANCATO

L'immagine di Elvo Zornitta che hanno offerto i TG di questi giorni è assai diversa da quella che eravamo abituati a conoscere. L'ingegnere accusato di essere l'Unabomber che per anni ha terrorizzato il Triveneto si è presentato ingrassato di qualche chilo, sorridente e con una lunga e rassicurante barba.
Certo che è uno strano tipo questo Zornitta: con un'accusa tanto infame a pendergli sul capo, non ha mai smesso di credere nella giustizia, non s'è perso d'animo nemmeno quanto la perizia su uno dei suoi taglierini sembrava inchiodarlo all'accusa.
Sembrava ormai una vicenda chiusa quella di Unabomber se non fosse stato che la caparbietà dell'indagato e del suo difensore hanno permesso di accertare che quel lamierino era stato manomesso. Proprio così, manomesso perché apparisse inconfutabilmente l'attrezzo adoperato dal bombarolo per confezionare gli ordigni. Per questa manomissione, il perito della Procura, Ezio Zerner, è tutt'ora sotto processo.
Quella della manomissione del taglierino è stata una notizia che ha fatto tirare un bel sospiro di sollievo anche a noi di Giustizia Giusta che da oltre due anni – contravvenendo ad una regola che ci siamo dati – avevamo 'sposato' la causa dell'innocenza di Zornitta.
La ragione della posizione di GG, nella sua semplicità estrema, ci appariva – e continua a sembrarci – incontrovertibile: l'Ingegnere, prima che venisse resa nota l'esistenza di un'indagine a suo carico, era stato tenuto di vista per due anni dai Carabinieri. In quei due anni, Unabomber aveva avuto modo di colpire ben due volte. Una situazione paradossale, dunque, spiegabile solo con la totale irresponsabilità degli inquirenti o, come abbiamo sempre creduto, con l'innocenza di Zornitta.
Come detto, dopo poco giungeva la scoperta della manomissione del taglierino. In un Paese civile sarebbe bastato questo per scagionare l'Ingegnere con stretta di mano e tante scuse per l'accaduto. Non così in Italia (il caso Gravina docet) e dopo ventiquattro mesi l'indagato può festeggiare l'uscita di scena da uno spettacolo che a nessuno avremmo potuto augurare.
Ma c'è qualcosa che rende speciale la vicenda di Zornitta, qualcosa che è legato proprio alla manomissione del taglierino.
Perché mai il perito della Procura dovrebbe attivarsi al punto di commettere un reato pur di 'compiacere' gli inquirenti? Si tratta di una domanda per la quale il ricorso al buon senso imporrebbe di rispondere negativamente.
Purtroppo, però, non è così.Quello che – forse – è accaduto a Trieste, non è una novità per chi abbia pratica nella frequentazione degli uffici giudiziari italiani.
Tante volte, da queste colonne, abbiamo stigmatizzato la pratica di avviare indagini non per perseguire un'ipotesi di reato ma per ricercare notizie di reato. La situazione nel rapporto perito-PM è purtroppo analoga. Disegnato l'impianto accusatorio dalla Procura, il Perito deve collaborare nella ricerca di UN colpevole prima ancora che in quella DEL colpevole.
Questo è il meccanismo drogato che dà la stura ai tanti casi Zornitta che quotidianamente, pur senza altrettanto clamore, affollano le nostre procure.
Un circolo vizioso che potrebbe essere spezzato da una riforma che abrogasse l'obbligatorietà dell'azione penale, che introducesse criteri di responsabilità, anche di ordine patrimoniale, per i magistrati. Tutte riforme di cui parliamo da anni e per le quali, forse, il momento è maturo.

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