..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

sabato 17 gennaio 2009

A QUALCUNO BISOGNERA' PUR CREDERE

Le recenti turbolenze della sentenza della decima sezione del Tribunale di Roma, assolvendo dall’accusa di associazione a delinquere tutti gli imputati coinvolti nel processo alla Gea World, hanno scatenato tra addetti ai lavori, stampa e opinione pubblica vari dissensi, sfociati in una domanda che, inevitabilmente, se la sono cominciata a porre in molti, juventini e non: come è stato possibile condannare, in sede di Giustizia Sportiva, per un reato che non c’era Moggi, Giraudo e la Juventus? A cosa, e a chi, bisogna credere?
I media, in questi giorni, tra interviste agli interessati, editoriali e commenti hanno dimenticato un particolare di non poco conto, anzi, fondamentale. Il Prof. Piero Sandulli, e con lui altri componenti della Disciplinare, hanno condannato la società bianconera e la sua dirigenza, nel luglio del 2006, per un illecito (strutturato, ambientale o associativo che dir si voglia) che non era contemplato nel vecchio testo del Codice di Giustizia Sportiva.
Non sono state rilevate partite truccate, nessun sorteggio pilotato e nessuna intercettazione che potesse provare una violazione sportiva, ma è stato dedotto che un’ipotetica “cupola” avesse messo le mani sull’intero sistema calcio, condizionandone i campionati.
Ora cerchiamo di essere seri, viviamo in uno Stato democratico, regolamentato da leggi, norme e una Costituzione, e in base a quelle dobbiamo fare chiarezza per eliminare una volta per tutte ombre e nubi che si sono addensate in questi anni al cospetto di indagati e dell’intera vicenda.
Abbiamo più volte scritto che, dalle sentenze, non si sono mai riscontrati illeciti sportivi che potessero spingere un qualunque giudizio verso le pene successivamente comminate, il tutto avallato dalle dichiarazioni, recenti e passate, dello stesso Sandulli: “l’illecito associativo non esisteva, era una falla nel sistema giuridico, è stato da noi introdotto”.
Entriamo nello specifico e cerchiamo di capire perché il giurista abbia ribadito nel luglio del 2006, dopo averlo scritto nella sentenza, che “non ci sono illeciti, era tutto regolare, quel campionato non è stato falsato, l’unico dubbio riguarda la partita Lecce-Parma”.
La base da cui bisogna partire sono inevitabilmente le accuse alla Juventus formulate dal Procuratore Federale Stefano Palazzi, riferite alle partite contestate del campionato 2004/05:
a. Juventus – Lazio Art. 6 CGS (illecito sportivo)
b. Bologna – Juventus Art. 6 CGS (illecito sportivo)
c. Juventus – Udinese Art. 1 CGS (comportamento scorretto)
d. Classifica alterata
Nella sentenza di primo grado, il presidente della Corte Cesare Ruperto ha così sentenziato:
a. non vi sono estremi di illecito, contempla solo Art. 1 CGS
b. non vi sono estremi di illecito, contempla solo Art. 1 CGS
c. è in effetti Art. 1 CGS
Ma sentenzia anche che la somma di Artt. 1 CGS di cui sopra ai punti “a”, “b” e “c” è stata funzionale al conseguimento dell’Art. 6 CGS di cui sopra al punto “d”.
Nella sentenza della Corte d’Appello, presieduta da Piero Sandulli, è stata confermata la sentenza di primo grado, precisando che “la inammissibile somma algebrica di Artt.1 è da considerarsi piuttosto come ineliminabili tasselli funzionali alla realizzazione dell'art.6".
In soldoni si è sostenuto che la classifica è stata alterata senza specificare quali gare avrebbero potuto alterare la stessa, anzi, derubricando la possibilità di illecito per mancanza di prove e fatti. In pratica, la Juventus è stata condannata per omicidio, senza che nessuno sia morto, senza prove, né complici, né arma del delitto. Solo per la presenza di un ipotetico movente.
Entriamo ora nei dettagli del codice sportivo, vecchio e nuovo.
Nel nuovo codice di Giustizia Sportiva, all’Art.1 si evince al comma 4 quanto segue: “Alle società e ai loro dirigenti, soci e tesserati è fatto divieto di intrattenere rapporti di abitualità, o comunque finalizzati al conseguimento di vantaggi nell’ambito dell’attività sportiva, con i componenti degli Organi della giustizia sportiva e con gli associati dell’Associazione italiana arbitri (AIA)”.
Nel vecchio codice di Giustizia Sportiva, quello preso in esame per i processi, il comma 4 non esiste, o meglio, esiste, ma nei quattro comma integrativi dell’articolo non si evince nessun divieto di intrattenere rapporti di abitualità.
Di fatto non era possibile giudicare nel periodo interessato una violazione dell’Art.1, in quanto non era specificato nel CGS il divieto ad intrattenere rapporti di abitualità con i componenti degli Organi Federali e con gli associati dell’AIA. Ancor meno si poteva condannare la Juventus e la sua dirigenza per un illecito (strutturato) non contemplato dal codice.
Ma allora perché la Juventus è stata condannata, con quali prove?
Facciamo un salto indietro e andiamo a rileggere quanto espresso dalla Procura della Repubblica di Torino in data 19 luglio 2005 (un anno prima!).
Il reato per cui le intercettazioni venivano richieste (nelle persone di Luciano Moggi, Antonio Giraudo e Pierluigi Pairetto) era l'associazione a delinquere, finalizzata alla commissione di più reati di frode sportiva.
Sulla base degli elementi avuti a disposizione dalle intercettazioni si ritenevano sussistenti gravi indizi dell'esistenza di una associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva, nella quale i tre indagati rivestivano tutti una posizione apicale di organizzatori-promotori, e che avrebbe operato attraverso la designazione di determinati arbitri, certamente graditi alla società Juventus, in violazione delle regole sportive di imparzialità e trasparenza previste per l'operato degli uffici della FIGC e ciò accordandosi con il designatore per la nomina di arbitri graditi ... al fine di ottenere risultati favorevoli per la predetta squadra (la Juventus)... partecipando Giraudo, Moggi e Pairetto ai vantaggi generali della attività illecita intrapresa.
Con provvedimento in data 9 settembre 2004, il GIP respingeva la richiesta di intercettazione per insufficienza indiziaria in ordine alla sussistenza dell'ipotizzato reato di associazione per delinquere.
Invero, nella motivazione il GIP si soffermava anche sulla mancanza di gravi indizi in ordine ai reati di frode sportiva, non riconoscendo nel merito una particolare ed univoca valenza probatoria alle telefonate intercettate, così testualmente esprimendosi: "gli elementi che si evincono da tali conversazioni non sono peraltro sufficienti a ravvisare i gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato indicato in epigrafe. Vi è a monte un problema di individuazione dei gravi indizi in ordine al reato-fine posto che il tenore delle conversazioni tra Moggi e Pairetto e le manifestazioni di speranza nella "bontà" degli arbitri lasciano aperti dubbi circa il fatto che gli arbitri richiesti da Moggi siano con sicurezza determinati - in base a previo accordo collusivo - a favorire la squadra diretta dall'indagato, e pertanto a realizzare una fraudolenta ed illecita interferenza nel leale andamento della competizione agonistica"
Ma soprattutto in motivazione il GIP si soffermava sulla reale valenza indiziaria degli indizi del reato, ritenuti privi non solo del carattere della gravità ma anche di quello della sufficienza (... ma soprattutto non possono ritenersi sussistenti sufficienti indizi in ordine al reato di associazione per delinquere.."), e ciò per mancanza di pressoché tutti gli elementi costitutivi della fattispecie: "... difettano in particolare gli elementi della organizzazione di mezzi (non essendovi elementi in tal senso) e della stessa sussistenza, stabilità e continuità di un vincolo e di una struttura associativa autonoma, la quale... deve essere caratterizzata dall'indeterminatezza del programma criminoso, cosa che nel caso di specie non è affatto evincibile; difetta altresì dal punto di vista soggettivo l'elemento della continuativa colleganza tra gli indagati in relazione alla realizzazione di plurimi ed indeterminati reati-fine...".
In questi giorni, da più parti, si cerca di differenziare la Giustizia Sportiva (con i suoi ordinamenti e regole) da quella Ordinaria, specificando che le sentenze espletate possono essere differenti in base a codici e norme.
Ma la domanda rimane sempre la stessa: a chi bisogna credere?
Quello che appare chiaro, molto chiaro, è che dalle intercettazioni telefoniche, sia che si parli di Giustizia Sportiva o di quella Ordinaria, non si evincono particolari elementi che possano stabilire l’esistenza di una associazione dedita a determinate il non regolare svolgimento delle partite, e di conseguenza logica l'alterazione di un campionato intero.
Sia la Giustizia Ordinaria (che nel suo iter svolto fino ad oggi ha escluso la presenza di partite truccate, di griglie pilotate e della presenza di un’associazione a delinquere) che quella Sportiva (che ha escluso irregolarità e illeciti) sono state concordanti su di un punto fondamentale: non ci sono stati illeciti sportivi.
Si potrebbero spendere altre mille parole, fare decine e decine di esempi, portare all’attenzione dell’opinione pubblica quello che le carte processuali hanno esplicitamente espresso, ma alla fine a qualcosa bisogna pur credere, e se l’Italia deve essere considerato uno Stato di diritto bisogna seguire quello che la Costituzione ci insegna: Art.25 - Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
L’illecito strutturato non esisteva, e il comma 4 dell’Art.1 non era contemplato, eppure la Juventus è stata condannata, dalla Giustizia Sportiva, per illecito sportivo.
Io voglio ancora credere alle leggi e alla Costituzione.
di Cirdan

Nessun commento: