Tra una domanda di Bruno Vespa, la prolissità delle risposte di Luciano Moggi e la capacità di sintassi di Giampiero Mughini e Oliviero Beha (quest'ultimo capace di portare la discussione sui giusti binari, prontamente fatta deragliare dalle solite chiacchere da bar), si è snodata, nella seconda serata di RaiUno, una puntata di Porta a Porta, il talk show condotto da Bruno Vespa, svilluppando in maniera un po' confusa la tematica di Calciopoli.
Hanno tenuto banco, seguendo la cronaca, gli ultimi avvenimenti che si sono svolti all'interno delle aule di tribunale, nello specifico la sentenza della decima sezione del Tribunale di Roma, riguardante il processo alla Gea World.
Sono andati in onda, fra sentenze, intercettazioni, telefonate, millanterie e quant'altro, insomma cose viste e riviste, sentite e risentite, vari servizi: su Moggi e la sua carriera sportiva, sulla sentenza sopraccitata e su cosa è stato (sommariamente) Calciopoli.
L'aspetto che mi preme sottolineare però è un altro. In un servizio andato in onda si è voluto chiedere alla "piazza" cosa pensa della sentenza appena espletata dal Tribunale di Roma: se l'assoluzione piena dall'accusa di associazione a delinquere è stato un giudizio coerente, o se, nonostante tutto, rimane la delusione per la mancata condanna.
Dalle piazze di Roma, Milano e, in maniera diversa, anche Torino c'è stata la conferma di quella famosa, e mai dimenticata, dichiarazione del giudice Mario Serio: "la Juventus è stata condannata per decisione dei giudici che hanno cercato di interpretare il "…sentimento popolare…ascoltando la gente comune... provando a mettersi sulla stessa lunghezza d’onda...".
Indistintamente si sono ascoltate voci che, ancora oggi, non accettano le sentenze dei tribunali ordinari: "Si sapeva che finiva così, questa è l'Italia"; voci che hanno condannato ancora una volta l'ex direttore generale juventino: "Dovevano dargli almeno 15 anni"; voci che hanno ribadito l'assoluta convinzione che è stato giusto privare la Juventus di due scudetti: "Solo due? Alla Juventus dovrebbero toglierne almeno venti!".
Ci saranno ancora sentenze di primo grado (il 20 c.m. si aprirà a Napoli il processo su Calciopoli), ricorsi in appello, si arriverà, forse, fino in Cassazione, ma a prescindere da quello che diranno, (escludendo naturalmente eventuali condanne per associazione a delinquere) quel "sentimento popolare" e quella "gente comune" non cambierà mai opinione, rimarrà per sempre convinta, senza fare nemmeno lo sforzo di capire cosa è realmente successo, che la Juventus rubava, che Moggi telefonava per truccare le partite e che gli arbitri, consenzienti e intimoriti, favorivano la squadra di Torino con ammonizioni mirate e interpretazioni a senso unico delle gare.
Fra vent'anni, quando quasi tutti avremo nipoti con cui parlare di un rigore o di un fuorigioco, del nuovo fenomeno del calcio mondiale, o se è meglio giocare con le tre punte o lo schema ad "albero di natale", ci sarà ancora chi, entrando in un bar, nell'ufficio caotico di tutti i giorni, o più semplicemente accomodandosi a tavola tra parenti ed amici, parlerà di quella Juventus, la Juventus della Triade, che vinceva perchè dopata, perchè aiutata, perchè quel "capostazione" da Monticiano era il grande manovratore del calcio italiano.
Questa è l'Italia, l'Italia della cultura del sospetto, l'Italia che non legge, o meglio, che ama leggere i titoli a nove colonne dei soliti giornali poggiati sul bancone del bar sport per poi gonfiare il petto, preferendo le chiacchere alla giustizia, a differenza dell'Associazione GiùlemanidallaJuve, che ha creduto e crede ancora nella giustizia e non alle chiacchere.
di Cirdan
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