A metà ottobre, il boss palermitano Gaspare Spatuzza iniziò la sua collaborazione con gli inquirenti sulla strage di via D'Amelio in cui, nel '92, vennero uccisi il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta.
Le prime rivelazioni furono in contrasto con quelle rese, sull'eccidio, dal pentito Vincenzo Scarantino, al punto che l'attendibilità di Spatuzza, valutata dagli inquirenti, portò al continuo regime di carcere duro dello stesso pentito.
Ieri, il procuratore della Repubblica di Caltanissetta, Sergio Lari, che coordina la nuova inchiesta aperta sull'attentato a Paolo Borsellino e agli agenti della scorta, ha dichiarato che "la strage di via D'Amelio, nonostante le sentenze passate in giudicato, presenta ancora molti aspetti oscuri".
"Abbiamo concluso con il dichiarante Spatuzza - dice Lari - il verbale illustrativo, adesso si devono fare i riscontri, valutare così la sua attendibilità per poi decidere se chiedere la sua ammissione al programma di protezione".
Il racconto di Spatuzza, nella fase preparatoria della strage, non sposta molto il quadro generale, ma attribuisce a se stesso ciò che la sentenza invece ha definitivamente attribuito all’altro pentito, quel Vincenzo Scarantino che nel 1994 raccontò come fu organizzato il furto dell’auto.
"E' ancora presto poter affermare che le rivelazioni di Spatuzza possano dare una svolta alle inchieste - dice il procuratore Lari - o capovolgere le sentenze, tutto quello che ci ha detto deve essere riscontrato e valutato con attenzione perché molti aspetti devono ancora essere chiariti, ma l'ipotesi di una revisione del processo rimane un'opzione ancora molto lontana".
Facendo un passo indietro - inizio ottobre 1994 - l'allora pm Ilda Boccassini, allieva e amica di Giovanni Falcone, scrisse una dettagliata relazione di 10 pagine nella quale elencava i tanti dubbi sulle dichiarazioni rese ai magistrati da Vincenzo Scarantino.
"u jassaru" aveva confessato di aver commissionato il furto di quell'auto; un anno dopo, nel 1995, ritrattò ma sulle sue prime dichiarazioni i magistrati di Caltanissetta basarono il processo per il delitto Borsellino.
I dubbi del pm su Scarantino presero corpo alla lettura degli interrogatori resi, poi, dal sedicente pentito ad Anna Palma e Nino Di Matteo, i pm titolari del'inchiesta su via D'Amelio. Per questo, prima di lasciare Caltanissetta, scrisse quella relazione.
"Posso solo dire che è tutto vero, - ha detto la Boccassini dopo essere stata raggiunta telefonicamente da "La Stampa" - nell'ottobre 1994, poco prima di lasciare Caltanissetta, in cui era finita la mia applicazione, e per legge non si poteva prorogare, per andare alla procura di Palermo scrissi quella relazione. Ho la copia - ha aggiunto il pm - di quella relazione, del resto, l'ho già detto 3 mesi fa, quando mi ha contattato, al procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lari. E, 20 giorni fa, l'ho ripetuto a un collega della Dna. Poi, non ho saputo più nulla".
Ilda Boccassini sui pentiti di mafia ha sempre avuto una posizione netta: "Quando il lavoro investigativo è efficace e schiacciante il mafioso non si pente, si arrende".
Altri scrivono di un'arma - l’uso incontrollato e criminale dei pentiti - che ha sfregiato il volto della giustizia, senza che nessuno abbia mai pagato per le bugie dette.
di Cirdan
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