..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

mercoledì 7 gennaio 2009

A GAZA, PER EVITARE LA GUERRA IN IRAN

In America comincia a circolare un’interpretazione diversa sull’attuale crisi a Gaza: “Israele – ha scritto sull’Atlantic Monthly Robert Kaplan, saggista stimato a destra come a sinistra – in realtà ha lanciato la guerra contro l’impero iraniano che il presidente George W. Bush e in particolare il vicepresidente Dick Cheney hanno soltanto potuto considerare”. Kaplan non è il solo a sostenere questa tesi. Il neoconservatore Bill Kristol, sul New York Times, ha scritto più o meno la stessa cosa. Così come Michael Ledeen, ora alla Foundation for Defense of Democracies, sul suo blog. David Brooks, sempre sul New York Times, ha spiegato che la battaglia di Gaza in realtà è una guerra per la fiducia e per il morale dei due fronti, perché nessuno dei due contendenti può sconfiggere l’avversario: l’obiettivo degli estremisti è quello di uccidere il numero più alto di ebrei e per il resto di affidarsi a Dio e all’Iran, mentre quello di Israele è realisticamente di sopprimere il terrorismo settimana dopo settimana, mese dopo mese. “La violenza, in questo caso, non crea necessariamente violenza. Qualche volta la previene”, ha aggiunto Brooks.
Il Wall Street Journal ha spiegato in un lungo editoriale che la politica estera di Barack Obama, già più forte grazie alla vittoria in Iraq, potrà trarre ulteriori benefici dal successo di Israele a Gaza: “Il presidente eletto dice che intende dedicarsi a un grande patto con l’Iran, ma i mullah saranno molto più interessati a una soluzione diplomatica se i loro alter ego militari saranno stati sconfitti. Gli israeliani hanno fatto a Obama un favore reagendo ad Hamas prima che lui entri alla Casa Bianca e in modo che il presidente Bush possa sopportare la solita denuncia globale agli Stati Uniti per il sostegno a Israele”. L’interpretazione del Wall Street Journal e degli altri non può essere più diversa da quella tradizionale, e frequente nelle cancellerie europee, di cui si fa portavoce Gideon Rachman sul Financial Times: “L’offensiva israeliana è pericolosamente vicina al fallimento”, perché priva di strategia e di via d’uscita. Ma la prospettiva è diversa se si analizza l’operazione contro Hamas nell’ambito della più ampia minaccia, non soltanto contro Israele, costituita dai movimenti islamici radicali, i gruppi terroristici e gli ayatollah teocratici alla ricerca della bomba atomica. Se Israele non riuscirà a indebolire Hamas e a fermare la ricostruzione di uno stato terrorista a Gaza, ha scritto Bill Kristol sul New York Times, l’Iran potrà vantare un grande successo e sarà meno suscettibile alle pressioni di Obama per fermare il programma nucleare: “Ma una sconfitta di Hamas a Gaza, dopo il successo in Iraq, sarebbe un vero colpo per l’Iran, renderebbe più facile assemblare una coalizione regionale e internazionale per fare pressioni sull’Iran. Potrebbe anche avere un effetto positivo sulle elezioni iraniane di giugno e potrebbe rendere il regime iraniano più aperto a una trattativa”. Secondo Kristol, Obama prima o poi potrebbe trovarsi in una situazione in cui l’uso della forza contro il programma nucleare iraniano sia l’opzione più responsabile, come è successo in questi giorni al governo israeliano: “Ma la volontà di Israele di combattere a Gaza rende più possibile l’ipotesi che non debbano essere gli Stati Uniti a farlo”.
La tesi di Robert Kaplan
L’articolo di Robert Kaplan, in particolare, è quello più citato sui blog americani. Gaza, sostiene il giornalista dell’Atlantic, è l’avamposto occidentale dell’impero iraniano che ad oriente si estende fino all’Afghanistan. L’offensiva israeliana è la prima contro l’Iran, dopo la guerra contro Hezbollah nel 2006, e “se Obama è intelligente in questo momento starà tifando silenziosamente per Israele”. Israele, sostiene Kaplan, non combatte contro uno stato, ma contro un’ideologia antioccidentale e antisemita, alimentata dalla religione islamica e rafforzata dai servizi segreti iraniani. E’ la stessa ideologia, aggiunge, che tiene unita la grande sfera d’influenza iraniana che comprende Hamas in Palestina, Hezbollah in Libano, il movimento Mahdi nel sud dell’Iraq e che spera nel consenso dei milioni di arabi sunniti egiziani delusi dall’autocrazia del Cairo, giudicata troppo vicina agli Stati Uniti e a Israele. Il paradosso è che l’unico posto dove i musulmani sono scettici dell’Iran è proprio l’Iran, spiega Kaplan, perché la popolazione è più filo occidentale rispetto al mondo arabo e il regime può vantare su una base di sostegno modesta, specie ora che lo stato è al disastro economico malgrado le vaste riserve energetiche. Le chance diplomatiche occidentali con l’Iran, sostiene Kaplan, sono legate alla vittoria di Israele a Gaza: “Dobbiamo crearci un vantaggio strategico prima di negoziare con il regime clericale e questo vantaggio può venire soltanto da una vittoria morale di Israele che faccia vacillare di spavento anche i siriani pro iraniani pronti ad aiutare Hamas”.
di Christian Rocca
da Camillo blog
da il Foglio del 7 gennaio

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