..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

venerdì 3 aprile 2009

FACILONERIE TRICOLORI

La vittima non è Enzo Tortora, è l’Italia. A Napoli non si conclude una brutta vicenda, inizia l’inopportunità del modo di ricordarla. Dopo ventidue anni, da quel 17 giugno 1987 (assoluzione definitiva da parte della Corte di Cassazione), con una mozione all'unanimità, il Consiglio comunale di Napoli ha deliberato di dedicare una strada a Enzo Tortora; l´assessore alla toponomastica Alfredo Ponticelli ha detto: “nei pressi del carcere di Poggioreale o di Secondigliano.
Quello di Tortora non fu l’unico processo avventuroso ed infondato con cui s’è cambiato il corso della storia italiana. Sono tanti, e non solo di Camorra.
La carriera del presentatore televisivo viene bruscamente interrotta il 17 giugno 1983, quando viene arrestato con l'accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico dalla Procura di Napoli. Le accuse si basano sulle dichiarazioni dei pregiudicati Giovanni Pandico, Giovanni Melluso e Pasquale Barra,; infine altri 8 imputati nel processo alla cosiddetta Nuova Camorra Organizzata, tra cui Michelangelo D'Agostino pluriomicida, detto "Killer dei cento giorni", accusano Tortora. A queste accuse si aggiungeranno quelle, rivelatesi anch'esse in seguito false, del pittore Giuseppe Margutti, già pregiudicato per truffa e calunnia, e di sua moglie Rosalba Castellini, i quali dichiareranno di aver visto Tortora spacciare droga negli studi di Antenna 3. L'accusa si basa, di fatto, unicamente su di un’agendina trovata nell’abitazione di un camorrista con su scritto a penna un nome che appare essere, all'inizio, quello di Tortora, con a fianco un numero di telefono; nome che, a una perizia calligrafica, risulterà non essere il suo, bensì quello di tale Tortona. Nemmeno il recapito telefonico risulterà appartenere al presentatore. Si stabilirà, per giunta, che l'unico contatto avuto da Tortora con Giovanni Pandico fu a motivo di alcuni centrini provenienti dal carcere in cui era detenuto lo stesso Pandico, centrini che erano stati indirizzati al presentatore perché venissero venduti all'asta del programma Portobello.
Oggi non si vuole criticare l’intenzione, di per sé buona, di dedicare una strada a Tortora, ma una certa faciloneria tutta italiana. Quest’ultima, allora, consegnò la vita del giornalista genovese prima alla galera e successivamente alla malattia, che se lo portò via cinque anni dopo il suo arresto, mentre adesso se ne fa beffe.
Non sarà una strada o un monumento a ricordare chi fu Enzo Tortora e la sua vicenda, ma individuare la strada da intitolare accanto al carcere di Poggioreale, dove fu ingiustamente detenuto, non fa bene a Tortora, e ancora meno a questo Paese.

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