Ottocentomila, forse di più. La folla di ieri era a perdita d’occhio in piazza San Giovanni, fiumi di persone nelle strade limitrofe, fino a tappare ogni striscia d’asfalto, campeggi nelle piazzette di zona, ragazzi che venerdì hanno dormito sul prato per assicurarsi le prime file, conficcati nelle transenne. E non perché spinti da chissà quale voglia di manifestare o aderire a un’inizativa. La connotazione politica è stata marginale rispetto al passato, quella sociale pure: le morti sul lavoro sono un problema serio, i diritti dei lavoratori sacrosanti, ma la sensazione è che la categoria sia ormai quasi considerata privilegiata, una élite secondo i giovani che “magari avercelo il lavoro”.
Il pubblico è sembrato decisamente più partecipe e solidale negli appalusi ogni volta che si è tirata in ballo la faccenda abruzzese.
Poche bandiere dunque (in proporzione ce ne erano di più coi sindacati a L’Aquila) e molti striscioni per Vasco. Sì il popolo del Blasco si è mobilitato, ha colonizzato l’area, e per quanto si sia ribadito fino alla nausea che lui era solo un ospite all’interno del concerto, si trattava dell’unico veramente atteso.
Lo hanno confermato gli artisti che si sono avvicendati sul palco e che hanno patito l’insofferenza di vascomani, vascofili e vascolisti anonimi giunti da tutta Italia per quell’unica performance.
I cori che lo reclamavano, partiti dal primo pomeriggio, sono stati costanti, per certi versi avvilenti per il resto del cast e per Sergio Castellitto, la cui conduzione si è trasformata in un conto alla rovescia.
La maratona musicale è iniziata con Paolo Belli, seguito da Famelika, Bud Spencer Blues Explosion (un buon power duo da tenere d’occhio), Diva Scarlet, Beatrice Antolini, Paolo Benvegnù, Marta Sui Tubi, Dente, Cesare Basile e Roberto Angelini. Poi Nomadi, Malfunk, la Bandabardò, sempre capace di risvegliare la piazza con una miscela di impegno e ritmo, accompagnata su “Bambino” da Tonino Carotone, Mannarino e Après La Classe, il reggae dei Smoke, Enzo Avitabile e i Bottari, Peppe Voltarelli, Motel Connection, Irene Fornaciari (subentrata all’ultimo e piuttosto fuori luogo), il supergruppo composto da Afterhours, Samuel dei Subsonica, Cristiano Godano dei Marlene Kuntz (Manuel Agnelli ha fatto una scelta di gusto con “Shipbuilding” di Robert Wyatt, brano contro la guerra scritto da Elvis Costello).
Chi è riuscito a domare il pubblico, a distrarlo dalle invocazioni vaschiane, a farlo saltare e diventare protagonista, è stato Caparezza, entrato su una biga frustando due precari cantando “Una grande opera” e uscito sulle note della pizzica salentina “Vieni a ballare in Puglia”.
Lui sì che è uno che si occupa di temi sociali e di morti sul lavoro non per l’occasione, con o senza concertone. A seguire Cisco, il complesso bandistico di Introdacqua, la PFM (che ha portato sul palco De André), Paola Turci e Paolo Fresu.
E poi Vasco. Giacca di pelle ocra e cappelletto verde con la visiera al contrario, ha esordito con un «Ciao bella gente» e assemblato una scaletta non casuale, tenuta assieme da un suo filo logico. Ha attaccato con “Stupendo”, in “Non appari mai” ha cambiato il testo inserendo “Qui siamo tutti belli e buoni/ votiamo tutti Berlusconi” e il riferimento al Presidente del Consiglio è tornato in coda a “Vieni qui” (“Vieni qui, Silvio”) e ancora nel testo di “T’immagini” (“Qui c’è qualcuno che ha sbagliato mestiere... non voglio mica dire che sia il cavaliere”).
Ha proposto la cover de I Corvi “Un ragazzo di strada” (in conferenza stampa ha dichiarato che sognava di cantarla da quando aveva 15 anni e bisogna ammettere che gli calza a pennello), “Sally” (e il prato diventò un tappeto di stelle), “C’è chi dice no”, “Gli spari sopra”, “Il mondo che vorrei” e, a sorpresa, “Un senso”.
Poi è sparito, andato via senza molte parole. Avendo montato questo ambaradan sulla necessità di esporsi ed agire, avendo dato il titolo a una tale serata, in cui il pubblico sui bigliettini e gli artisti nelle interviste erano chiamati a esprimersi sul mondo che vorrebbero, ci si attendeva una sua esternazione. Invece si è limitato a dire «Meditate gente. Non guardate troppi tg. Il mondo è fatto di piccole cose. Di amici, compagnie, amori, i vostri ritrovi, i vostri bar. Questo conta».
D’altronde lo ha sempre detto che non ama fare grandi discorsi in pubblico e preferisce esprimersi attraverso le canzoni. Così niente schieramenti ma qualche allusione, senza dare colpa a nessuno, quella è ancora di Alfredo. Dopo di lui la folla ha cominciato a defluire, nonostante un bravissimo Robben Ford a ereditare la scena. Il rush finale con Marina Rei, Edoardo Bennato, e fuori dalla diretta televisiva Casinò Royale e Asian Dub Foundation.
Nessun commento:
Posta un commento