..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

venerdì 17 luglio 2009

PRESUNTO INNOCENTE

Trascorsi tre anni dallo scandalo di “calciopoli” e con un nuovo campionato alle porte, mi sono imbattuto nelle classiche discussioni da opinione pubblica. C’è chi domanda: è possibile che i “moggiani” sperino nella disfatta sportiva della Juventus stagione 2009/10?
Altri invitano a non spettacolarizzare il processo che si sta svolgendo a Napoli. Peccato che gli stessi dimentichino un piccolo particolare: sono fuori tempo massimo, andava detto prima.
Se si guarda la giustizia italiana si possono osservare due cose: i processi non ci sono, ma lo spettacolo viene allestito. Poi, quando i primi vengono fatti (perdendo tempo), il secondo tira giù il sipario: l’opinione pubblica è stata sfamata.
Sulla possibile disfatta sportiva della società che ha sede in Corso Galfer – chiamarla oggi Juventus fa male al cuore – non serve sperare: coloro che sono ai posti di comando negli ultimi tre anni non si sono mai fatti sfuggire l’occasione. Basta guardare a livello manageriale come, quanti e per chi sono stati spesi i soldi del sostanzioso aumento di capitale.
Di Moggi e sullo stesso sono stati spesi fiumi di inchiostro: troppi quando non era necessario, troppo pochi quando lo era.
Conti alla mano, è stato il dirigente che ha vinto di più in casa bianconera, coadiuvato dall’estro manageriale di Giraudo e dalla presenza storica di Roberto Bettega. Difficile non ricordare dodici anni in cui, grazie alla sua sapienza calcistica che lo ha consacrato come l’indiscusso re del mercato, quella Juventus ha dominato il mondo, raggiungendo traguardi di squadra e personali che rimarranno per sempre scritti nelle pagine degli almanacchi. Risulta inevitabile rimanere legati ad un personaggio che ha costruito una delle più forti squadre che la Juventus (e non solo) abbia mai avuto, impossibile non averlo seguito nella vicenda di “calciopoli”.
Primo, perché allora c’era la necessità di capire cosa stava accadendo, eliminando corde e forche così da entrare nei fatti. In seconda battuta, ma non per questo meno importante, si stava concretizzando quel sentimento popolare che da lì a poco avrebbe distrutto la vita privata di un semplice cittadino italiano.
Sulla spettacolarizzazione del processo inizialmente ci pensarono tutti, difesa bianconera compresa, tanto da preferire le pagine dei giornali alla camera caritatis. Su quel processo, oggi, si è chiusi ancora in aula, aspettando ottobre per una nuova udienza.
Di fatto, c’è chi ha vissuto la vicenda di “calciopoli” come la disfatta di un’epoca, trovando in Luciano Moggi il capro espiatorio che media e giustizia sportiva hanno creato. Altri, pochi e sempre bianconeri, si batterono contro il giustizialismo, da convinti garantisti, andando a scavare nelle carte dell’accusa, diventate basilari per chi, proclamandosi garantista, diede del giustizialista a chi indicava la verità dei fatti.
Ricapitolando: quel che successe alla Juventus – perché forse qualcuno si è già dimenticato che quelle accuse erano infondate – e a Luciano Moggi non potrà mai cancellare una fede, quella bianconera.
Moggiani o meno, quello che tutti i tifosi vogliono vedere è la propria squadra vincente in Italia, in Europa e nel mondo. In tema di civiltà, invece, bisognerebbe quantomeno aver imparato la lezione, grottesca e terribile, e non patentarsi di fede nei confronti di coloro che non credono che siamo tutti uguali, quando entra in ballo la presunzione d’innocenza.

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