“Ho disceso la Virginia, cercavo un rifugio dalla tempesta,
preso in una bella favola, ho visto la torre crescere,
i piani di cinque anni e nuovi affari avvolti in catene dorate
e mi chiedo, ancora mi chiedo, chi fermerà la pioggia?”
La voce ruvida come un foglio di carta vetrata di John Fogerty dei Creedence Clearwater Revival mi arriva dalla casse del computer...
Mai parole furono più appropriate per quel momento storico, in cui migliaia di ragazzi morivano nelle paludi del Mekong per sporchi giochi di potere. Mai parole calzarono più a pennello per questo momento, in cui gli intrallazzi dei potenti non si nutrono (fortunatamente) col sangue di ragazzi in divisa, ma con la passione di milioni di sportivi e con i sogni di milioni di bambini...
Francamente, penso sia superfluo riepilogare una per una le varie tappe di questa discesa nell'Inferno di Dante che ha intrapreso il calcio italiano senza ormai avere possibilità di ritorno. E' una Geenna dove ogni girone porta un nome, una sorta di "dedica": Calcioscommesse, Matarrese, Sensi, Berlusconi, Moratti, Zeman, Doping, SLA, Nakata, Perugia, Cannavò, Intercettazioni, Calciopoli... E non illudiamoci di essere arrivati in fondo. Siamo ancora sulla spiaggia dell'Acheronte, aspettando che il traghetto di Caron Dimonio ci porti all'altra sponda, a proseguire la discesa verso l'abisso.
Ci avevano raccontato la storia del Campionato più bello del mondo nell'Italia degli Yuppies e dei capelli cotonati degli anni '80, e noi con l'entusiasmo dei bambini vivevamo in una favola. Poi, giorno dopo giorno, partendo dal Blackfriars Bridge e dall'aeroporto di Hammamet, fino al cavalcavia di Napoli ed al negozio di telefonia d'oltralpe, ci siamo accorti che era tutto finto, sia nel calcio che nel paese. Come quelle parate militari negli staterelli centramericani, dove i carriarmati sono Ape 50 mascherati con la cartapesta e i palazzi sono solo facciate di compensato a nascondere le favelas.
L'altra sera temevo i tedeschi del Bayern: più motivati, più squadra... Le assenze di Momo e Chiellini mi preoccupavano e non bastava a tirarmi su il morale che anche Ribery, dall'altra parte, marcasse visita.
Temevo una sconfitta; ma la immaginavo come epilogo di un match combattuto più con la sciabola che col fioretto, risolto da un episodio fortunoso o dal coupe de theatre di uno dei tanti campioni (o presunti tali). Invece sappiamo tutti com'è andata.
Ma non sono i quattro goal dei tedeschi a farmi male. Il dolore di quattro schiaffi, per quanto violenti, dopo un po' passa.
Penso a Diego, fischiatissimo eppure sorridente in panchina, e non posso non pensare, stavolta con infinito rispetto, alle lacrime di Ronaldo su quella panchina romana quando si accorse che il "calciu" non è sempre "alegria".
Penso a Sissoko, che "potrebbe essere ceduto per ripianare il buco economico causato dall'eliminazione". Beh, anche il più distratto tra gli amici del Forum si sarà accorto che Momo era col suo procuratore nell'hotel del Bayern PRIMA che Buffon raccogliesse col suo menisco rotto quattro palle in fondo al sacco. Non prendeteci per il naso, please.
Penso a una curva che inneggia ad Andrea Agnelli e Luciano Moggi. Fuori tempo come una scivolata del buon vecchio Sergione Brio. Con Andrea, perché un suo intervento andava richiesto anni fa, quando il vuoto societario venne riempito con i Co.co.co. che ben conosciamo. Con Luciano, perché offre un assist insperato a tutti i "maitre à penser" sempre più in difficoltà a gestire le notizie che arrivano dal Processo di Napoli: "i tifosi juventini, che da quando il calcio è ONESTO e PULITO non festeggiano vittorie, rimpiangono i bei tempi andati di Moggi e delle sue ruberie".
Complimenti, Kaladze non è riuscito a far meglio con i suoi due autogol in una partita!
Penso a tutti quelli che ora ripetono come una litania: "guardiamo avanti...". Io davanti a me vedo solo Caronte che mi fa segno di sbrigarmi a salire sul suo traghetto, una pioggia fredda che mi inzuppa e mi congela fino al midollo e una discesa verso l'abisso...
NO!
Scappare, fuggire, uscire fuori, all'aria, al sole...
Ma anche là, tra le strade della mia amata Torino, l'incubo mi bracca impietoso...
Le locandine fuori da un'edicola annunciano trionfanti che l'Inter ha schiantato il Rubin Kazan.
Sì, e abbiamo conquistato Addis Abeba. Avessi detto il Real Madrid o lo United...
Dall'altro lato della strada, un manifesto dalle tinte inconfondibili mi annuncia al Teatro Erba la messa in scena di una pièce teatrale sull'odiata squadra di Milano.
Mi stropiccio incredulo gli occhi, ma poi sospetto che si tratti di una farsa, di uno spettacolo comico... no?
No.
E' una celebrazione dei cent'anni di storia dell'Inter. A Torino.
Follia... Due-tre anni fa un responsabile marketing che avesse avuto un'idea simile lo avrebbero immediatamente promosso a nettacessi societario, con delega allo smaltimento rifiuti. Invece oggi...
Mi rifugio ai campi del Comune, quelli che ho tanto amato e tanto odiato, su cui ho respirato tanta polvere fino a che la carta d'identità me lo ha permesso.
Cerco purezza, ingenuità, quel calcio naif che non è ancora stato sporcato dai soldi e dai media, quel calcio che vuol dire prendere freddo la sera e poi farsi una birra insieme, anche se domani devi alzarti presto per andare al lavoro. Ma anche lì trovo solo genitori con la schiuma alla bocca che litigano, che incitano i figli a malmenare l'avversario, come fossero dei Decimo Meridio in erba che lottano all'ultimo sangue nell'arena.
Basta, basta...
Rifiuto tutto questo, non ce la faccio più... non è questo quel gioco che ho amato... lo sport non c'è più, la mia squadra non c'è più... e paradossalmente immagino un parallelo inquietante tra me e mio padre buonanima, tifoso granata dell'immediato dopoguerra.
I suoi miti, una squadra invincibile spazzata via dallo schianto di Superga; i miei miti, una squadra altrettanto forte dissolta dal complotto di Farsopoli.
Ma se lui, almeno, ha avuto la consolazione di vedere i suoi eroi ricordati in eterno, con quella catarsi universale e quell'unzione sacramentale che la morte garantisce, io vedo invece impresso a fuoco su quella maglia che fu di Charles, di Scirea, di Platini il marchio imperituro dell'infamia. Condannati senza appello da chi non aveva il diritto di farlo.
Ma, purtroppo, la storia la scrivono i vincitori, e come sosteneva Catullo: “Avrai il tuo castigo: ti ricorderanno nei secoli – e anche decrepita la fama griderà chi sei”.
Metto le mani in tasca, per ripararle dal freddo.
E lì trovo qualcosa di morbido, un pon-pon bianconero regalatomi da un'amica del Forum.
Alzo gli occhi, e nella vetrina di un'edicola un calendario della Juve. Sulla retrocopertina, dodici foto che ricordano dodici partite di “quella” Juve e, sull'onda, mi tornano alla mente mille momenti belli e brutti...
...la notte stregata di Atene, quella magica di Tokyo, quella tragica di Bruxelles... la coppa vinta con goal di Galia al Milan, l'incidente di Scirea, il 3 a 2 con la Fiorentina, il rigore all'ultima giornata di Liam Brady...
E allora dico NO.
E non mi arrendo.
Perché io voglio che il mio sogno torni ad essere realtà e non importa se sarà tra un mese, tra un anno o tra cent'anni.
E non m'importa se da nessuna parte si scriverà il mio nome o quello dei mille che hanno lottato con me; magari, addirittura, salterà fuori qualche opportunista dai salotti buoni di Torino o dalle ville della Collina che si prenderà tutti i meriti e si metterà sulla testa l'elmo da condottiero per guidare la “nuova Juve” a sempre più grandi successi in Italia e nel Mondo.
Mi siederò sul divano a festeggiare la terza stella con un buon bicchiere di Porto e poi andrò a letto contento.
Perchè saprò di aver fatto ciò che era giusto fare.
Nel mio piccolo, con un ombrelluccio sdrucito, avrò fermato la pioggia.
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