..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

mercoledì 24 marzo 2010

CHAPEAU!

Non ci sono dubbi, ora Barack Obama merita che il suo volto sia scolpito nella roccia sul monte Rushmore accanto ai volti di George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln. Lo merita perché è riuscito in un impresa storica e perché proprio gli scettici che lo hanno sempre accusato di verbalismo (noi tra questi, lo confessiamo) usavano proprio questa immagine per indicare quanto fosse impossibile la riforma della sanità americana. Ma Obama ce l’ha fatta e di questo straordinario successo gli va dato atto con onestà, anche perché sarà questo il solido piedistallo da cui ora potrà affrontare le elezioni di mid term del prossimo autunno e le sfide che lo aspettano. Sfide in salita sul piano internazionale (là dove Obama sta dando il peggio di sé, con un’inconcludenza molto, molto pericolosa) ma sicuramente in discesa sul piano interno. E un presidente americano non viene ovviamente valutato dai suoi concittadini per quel che fa o non fa nel mondo, ma per i suoi risultati sul piano interno.
Con l’estensione dell’assistenza medica al 95% dei cittadini americani (ma un 10-12 milioni di indigenti non ne potranno godere, non va scordato), Obama ha portato (quasi) a termine un processo riformista del Welfare americano che ha lontanissime origini (iniziò il cammino Theodore Roosvelt, a inizio ‘900) che ha nella giustizia sociale l’asse portante, in puro stile kennedyano (e anche questo gli va riconosciuto: Obama è il primo kennedyano non solo a parole, ma nei fatti, memento per i tanti proseliti di J.F.K “dé noantri”). E’ molto interessante, per noi italiani, guardare alla tecnica politica innovativa che ha prodotto questo successo, il cui merito, peraltro, va ascritto in larga, larghissima parte alla speaker del Congresso. Una Nancy Pelosi che ha spesso litigato ferocemente negli ultimi tempi con un Obama molto incline al compromesso e che invece è riuscita a “vincere” il Congresso, andando dritta per la sua strada. Come si sa, il “fenomeno Obama” è tale (oltre alla evidente rottura storica del primo afroamericano presidente) perché il giovane intellettuale di Chicago è riuscito a sbaragliare nelle primarie l’apparato del Partito Democratico che puntava tutte le sue carte su Hillary Clinton. Una strategia simile è stata impiegata (dalla Pelosi, come da Obama), in ambito congressuale. Non solo trattative col singolo parlamentare, ma innanzitutto il segnale di una forte, totale, assoluta volontà politica. Obama ha insomma fatto capire al Congresso e al Senato che giocava tutto, tutto sé stesso (e quindi tutto il Partito Democratico) in questa battaglia, con impegno e generosità totali. Questo messaggio “alto”, questo levarsi con uno scatto di reni sopra il tran tran delle meline congressuali, ha fornito la marcia in più su cui poi le straordinarie doti manovriere della Pelosi hanno consolidato il risultato. Ma Obama è stato anche aiutato (altro dato interessante) da un altro elemento: la carenza di leadership dei repubblicani. La resistenza dei senatori e deputati dell’Old Party è stata feroce e combattiva, ma è mancata la regìa unica, è mancata la contrapposizione di un leader nazionale repubblicano forte che chiamasse al contrasto ad una riforma che sicuramente potrà avere dei contraccolpi negativi (e non solo sul tema dell’aborto, su cui Obama ha dovuto cedere quasi tutto ai repubblicani). John Mc Cain oggi protesta, ma è evidente che il suo partito è ancora acefalo e non sa attrarre voti per la sua opposizione. Questa riforma, non dimentichiamolo, si basa sull’estensione del sistema assicurativo privato (nulla a che fare col sistema italiano) sovvenzionato dallo Stato per le fasce di redditi più deboli, quindi ha un enorme costo (anche perché negli Usa immenso è il costo del contenzioso legale), obbligherà a nuove tasse e forse ridurrà le prestazioni di chi già gode di assistenza. Un intrico che potrà anche produrre distorsioni non da poco, sia sul budget federale, che sulla stessa erogazione dell’assistenza medica. Infine, un ultima considerazione per noi europei che per 45 anni abbiamo investito solo sul suo Welfare (sanità e pensioni) mentre gli Usa si sacrificavano su questo fronte e investivano sulla Sicurezza, garantendocela efficacemente, vittoriosamente (come si è visto col crollo del Muro) a costo zero. Ora si volta pagina: gli Usa intendono investire (e molto) sul loro Welfare. E’ ora che l’Europa si renda conto che sulla sua Sicurezza deve investire in prima persona e smetta di farsi proteggere solo dallo zio Sam.

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