..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

giovedì 29 aprile 2010

SUPPOSIZIONI DI PRIMO GRADO / 2

E finalmente arriviamo alle motivazioni vere e proprie della condanna.
Si parte con una lunga premessa, che ci svela quanto il calcio sia importante in Italia e nel mondo. Molti si sorprenderanno di questa novità, ma è così: il calcio va alla grande! Anche più del tiro al bersaglio e della canasta. E allora De Gregorio impiega un bel numero di pagine per erudirci a tal proposito. Poi sciorina qualche informazione sulla struttura del mondo pallonaro e delle sue istituzioni, nonché l’importanza dei mass-media (e noi ce ne siamo ben accorti: siamo andati in B proprio grazie a loro!). Infine, una rapida carrellata sui personaggi presi in esame, durante la quale il GUP non si lascia sfuggire l’occasione di descrivere Moggi come un “gran parlatore e grande utilizzatore di telefoni cellulari segreti e no” . E forse è una delle poche affermazioni sentite recentemente su Moggi condivisibili.

E, dopo una decina di pagine che non ci dicono nulla di nuovo, arriviamo al primo punto interessante: i mezzi di prova. Come c’era da aspettarsi, le uniche prove su cui si basa la sentenza sono le “intercettazioni telefoniche, completate da informazioni rese da un certo numero di attori della vicenda calcistica, nonché da attività di PG di tipo più tradizionale, come osservazione e pedinamento di persone – le prime documentate talvolta da filmati – sopralluoghi, sequestri” (pag. 12). Interessante una nota alla pagina successiva. “Orbene, a più riprese i difensori hanno ritenuto di evidenziare i limiti di tali indagini e dei loro risultati, incentrando le critiche di merito prima sull’uso preponderante delle intercettazioni telefoniche, mettendone poi in luce la parzialità e/o la dedotta equivocità dei contenuti informativi così ricavabili. Tali critiche, pertinenti e in astratto ragionevoli, eludono, tuttavia, il problema principale di questo e di molti processi di caratteristiche analoghe, costituito dalla notevole difficoltà dell’accertamento di fatti che presentano peculiarità ostiche al lavoro di chi vuole comprenderli prima di giudicarli. Ci si vuole riferire alla natura dei fatti stessi, di grandissima complessità solo a voler considerare il numero di soggetti coinvolti, la struttura dei plurimi rapporti intersoggettivi e delle situazioni analizzate ed il loro sviluppo in un lungo periodo, nonché al verificarsi delle vicende in un ambiente che – per come è emerso dal complesso delle investigazioni – ha contribuito al chiarimento degli accadimenti solo in misura molto limitata” . Tante parole attorno ad un concetto di base: visto che di prove non ce n’era l’ombra, qui si è lavorato molto per supposizioni. Alla faccia della presunzione di innocenza! Un passo, in particolare, è ben esplicativo: “fatti che presentano peculiarità ostiche al lavoro di chi vuole comprenderli prima di giudicarli”. L’impressione è che in molti casi si sia passati al giudizio senza avere comprensione di quanto accaduto.
E un’ulteriore prova della fragilità di questa sentenza giunge poche pagine dopo, quando si ammette che questo processo “si caratterizza largamente per essere un processo indiziario; invero, le notizie provenienti dalle fonti dichiarative sono scarse e scarne e le conversazioni verosimilmente più significative avvennero sulle cosiddette schede riservate – sulle quali ci si diffonderà in seguito – come tali non intercettabili ed il loro contenuto è rimasto ignoto” . In pratica, la sentenza ci dice che dobbiamo immaginare dialoghi tra persone che forse avevano schede telefoniche (peraltro legali). Incredibile, ma vero.
E veniamo alle schede svizzere. Dati certi? I soliti: le schede acquistate in Svizzera e detenute legalmente da Moggi, nonché dal padre di Paparesta e da Bergamo (pagg. 16/18). Per tutti gli altri, come al solito, si deve usare l’immaginazione.
Anche per quanto riguarda gli incontri, non ci sono particolari novità: c’è quello famoso, a cui presero parte anche le mogli (e francamente è dura immaginare che si complottasse a tavola con le consorti, tra un piatto di lasagne ed uno di piselli) e ce ne sono altri, durante i quali non si sa cosa venne detto, ma si procede (come al solito…) per deduzione, non avendo mai pensato di effettuare intercettazioni ambientali (perché?). Interessante anche l’incontro del 30/4, “in un momento cruciale per le sorti del campionato, poiché era prossimo il match-clou tra Juve e Milan”. In quell’occasione si videro Moggi, Giraudo, Lanese e Pairetto. E infatti la Juve giocò a Milano senza Ibrahimovic, arbitrata da Collina!
Una serie di pagine (pagg.24/25) è destinata alle cosiddette “ammonizioni pilotate” . Inutile tornarci sopra: a Napoli, tutte le tesi riportate dall’accusa (e trasferita con il copia & incolla in questa sentenza) sono state smontate. In particolare, occorre tenere ben presenti le statistiche, che non vedono mai la Juve della Triade avvantaggiata rispetto ad altre squadre, anche molto meno blasonate e, soprattutto, non legate alla presunta “cupola”.
Nessuna novità neanche nelle pagine successive, in cui si riprendono intercettazioni già note e si sottolinea il fatto che il 14 novembre si giocò una partita (vinta dalla Juve 1-0) in cui il campo era ai limiti della praticabilità. Il giudice si chiede se il fatto che la partita sia stata portata al termine dipenda dal vantaggio della Juve. Impossibile non tornare con la mente all’acquitrino di Perugia!
La parte dedicata all’incontro con l’Inter (quello in cui Carraro chiese a Bergamo di avvisare l’arbitro che poteva anche sbagliare, ma assolutamente non a favore della Juve!) è un fulgido esempio di creatività: “probabile che i problemi di cui Bergamo voleva parlare riservatamente al collega (Pairetto, ndr.) erano derivati da precedenti – non ascoltate – richieste di Moggi, in questo caso non facilmente accoglibili data l’importanza dell’avversario e l’interesse che il match suscitava nell’opinione pubblica; d’altra parte non può fare a meno di osservarsi che il presidente della FIGC, cioè il massimo dirigente del settore, contemplava tra le cose probabili un arbitraggio di favore per la Juve”. Alla faccia della fantasia! Una persona normale potrebbe pensare che il problema che Bergamo voleva confidare a Pairetto fosse la telefonata inusuale del capo della FIGC, che gli faceva capire bene da che parte doveva andare la direzione (e spiegava anche il motivo, nonostante De Gregorio abbia dimenticato di trascriverlo nel dispositivo). E invece no: pur di accusare Moggi, e di conseguenza Giraudo, si immaginano telefonate che, fino a prova contraria, sono solo nella testa degli inquirenti.
Dopo una serie di varie amenità (invettive nei confronti di Zeman, “furto” ai danni del Parma: evidentemente per De Gregorio la Juve meritava sì e no di salvarsi… altro che Scudetto e valanghe di uomini in Nazionale!), si prende in analisi anche la mitica moviola di Baldas su La7. E qui c’è uno dei passi più comici dell’intero documento. Ecco come viene definito il Processo del Biscardone: “una popolare trasmissione televisiva, di quelle che ripassano più volte alla moviola le immagini degli incontri, valutando le scelte dei direttori di gara e traendone giudizi, a quanto risulta, nell’ambiente tenuti in grande considerazione” . Fenomenale! Sarà contento Aldo, che ottiene una promozione inaspettata. Se fino ad ieri, per sentenza della Cassazione, la credibilità oggettiva della trasmissione era “riconosciuta assai bassa”, ora scopriamo che in realtà era tenuta “in grande considerazione” nell’ambiente!
Ma torniamo al calcio giocato. “Nel prosieguo del campionato sul piano sportivo su (sic) registrarono due sconfitte della Juve e due vittorie del Milan, che, così, ridusse a soli due punti il distacco dai torinesi” (pag.38). Quindi, quando la Juve perdeva eravamo sul “piano sportivo”, quando invece vinceva era grazie alla cupola. Ma allora perché comprare Buffon, Cannavaro, Thuram, Nedved, Ibrahimovic? E il giudice non perdona a Moggi neanche di sfogarsi telefonicamente con il collega Giraudo: “Ormai nel dubbio siamo penalizzati (…) siamo arrivati al punto che nel dubbio ci danno contro”. Forse Moggi avrebbe dovuto rallegrarsi con Giraudo degli errori a sfavore della Juve?
È di quei giorni anche la “madre di tutte le intercettazioni”: quella sulla griglia che Moggi indovina al telefono con Bergamo: “il valore di questa acquisizione è grande, poiché da essa è immediatamente leggibile il metodo usato dai protagonisti della vicenda circa la composizione delle fasce, presupposto indispensabile e condizionante dell’esito del sorteggio” . C’è da chiedersi se De Gregorio abbia mai acquistato il Corriere dello Sport, in cui le griglie venivano quasi sempre azzeccate in anticipo. Poteri divinatori del giornalista che le componeva, oppure prevedibilità di una composizione che era dettata da regole che lasciavano poco spazio all’arbitrarietà? Ma il bello viene alla pagina successiva: “la concatenazione logica, temporale e funzionale dell’incontro con Pairetto e Bergamo e della conversazione in questione, nel contesto accertato, induce con ogni ragione a ritenere che in precedenza anche Giraudo e l’altro designatore avessero stabilito con Moggi la combinazione delle fasce da questi in seguito rappresentata a Bergamo” . Effettivamente, la condanna in questione è a Giraudo. E allora, in un modo o nell’altro, bisognava pure cacciarlo dentro anche alla storia delle griglie!
Ed è proprio quella telefonata che porta il giudice a concludere: “la valutazione combinata di queste prove induce a considerare accertato che la cogestione delle scelte arbitrali – nel senso innanzi delineato – fosse un metodo costantemente attuato dagli imputati nel corso di quel campionato” (pag.43). Come dire che se la polizia vi ferma in eccesso di velocità sulla strada che percorrete per andare al lavoro, per induzione possa elevarvi qualche centinaio di multe: se l’avete fatto una volta, certamente l’avrete fatto tutti i giorni!
Interessante anche l’intercettazione tra la Fazi, segretaria della Figc, e lo stesso Bergamo, che le racconta di una telefonata intercorsa tra lui e Moggi: “chi vuoi come assistenti… dice voglio Ambrosino e Foschetti… no ti mando Ricci e Gemignani, insomma se non è zuppa è pan bagnato, però tanto per non dirgli quel che vuole lui” (pag. 43). Insomma, Moggi chiedeva due guardalinee e Bergamo gliene mandava un’altra coppia, proprio per non accontentarlo. È innegabile che queste telefonate fossero poco eleganti, ma è incredibile che vadano a finire su una sentenza di condanna penale. Anche perché qui non si parla neanche di una intercettazione tra Moggi e Bergamo, ma del racconto di una telefonata fatta da Bergamo ad una terza persona!
Poco più avanti, si rinfaccia a Bergamo una telefonata in cui così incita Moggi: “Pensiamo a giugno”. Il giudizio del GUP è: “non può non evidenziarsi come il legame tra Bergamo e Moggi si evidenzi dall’espressione pensiamo a Giugno, cioè all’esito del torneo, che il designatore profferì con naturalezza come fosse anch’egli un esponente della società torinese” (pag.44). Se De Gregorio si fosse preoccupato di ascoltare anche altre intercettazioni, in cui lo stesso Bergamo a Moratti esclamava: “Vediamo di fare dieci risultati utili di fila!” , forse le valutazioni sul tenore delle sue chiamate sarebbero state differenti? Oppure rimarrebbero comunque “tra le più emblematiche dell’intreccio di rapporti e di interessi reciproci tra gli imputati”?

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