Discutendo di calciopoli capita spesso di soffermarsi più che sulle accuse mosse alla presunta e sempre più inverosimile cupola, sui personaggi che animano il dibattimento in corso a Napoli.
Cominciamo oggi ad esporre una serie di brevi riflessioni e piccole considerazioni circa il contegno processuale e mediatico di alcuni degli attori protagonisti del processo “Ambrosino Marcello ed altri ventiquattro”. L'esposizione non seguirà una classifica di “magnificenza”, l'ordine sarà casuale, secondo quelle che saranno le “sensazioni e il ricordo” del momento.
Secondo della serie è Giuseppe Narducci. Il pm sta nel processo come il più irremovibile degli scogli sta di fronte all'impeto del mare. Se un punto fermo c'è nell'impianto accusatorio, questo è proprio il pm napoletano; passano i colleghi dell'ufficio di procura, ma lui resta. Resta a difendere con le unghie e con i denti un'impalcatura accusatoria che, detto da profano, proprio sembra non volerne sapere di stare su. Questo tuttavia sarà verificato solo con la sentenza.
Quello che ha colpito, almeno chi scrive, è il contegno tenuto finora dal pm in questione. Ascoltando le udienze del processo non abbiamo potuto fare a meno di notare molti momenti particolari e curiosi che hanno visto protagonista il dottor Narducci. Ci riferiamo ai commenti captati dai microfoni prima dell'inizio di alcune udienze, ai sospiri che nel corso dei controesami delle difese il pm regala alla platea degli ascoltatori del processo, o anche all'impeto con il quale talvolta ha interrogato i testi dell'accusa che si rivelavano nella sostanza favorevoli alle difese. Quasi una serie di gridolini che ricordano le tenniste più esuberanti quando colpiscono la pallina.
Tra tutti gli episodi però, quelli che resteranno più degli altri rivelatori di una certa foga verbale e di un personalissimo coinvolgimento emotivo, dobbiamo ricordare i momenti di accesa contesa dialettica con i legali della difesa di Moggi, delle dichiarazioni dei quali dubita anche quando si appellano al “proprio onore di avvocati” (costringendoli con ciò a metterlo di fronte all'incontestabile verità di un verbale di udienza), o anche potremmo ricordare di quando volle esibire il cartellino rosso all'ex Dg juventino che in una pausa dei lavori processuali usava il telefono in aula (pazienza se durante le escussioni testimoniali più volte si sono sentiti telefoni squillare). Su tutto però prevale la furia, a stento trattenuta, quando subito dopo la famosa frase del Presidente Casoria, “abbiamo processi più seri da seguire”, elencò con foga la lista dei testi d'accusa non dando il tempo alle difese di prenderne nota.
Il resto è storia di questo ultimo mese di processo, lo scoglio Narducci vuole mostrarsi ancora ben saldo, ma dovrebbe considerare che anche la roccia più dura è soggetta ad erosioni, e nel mare magnum delle 171.000 telefonate, deve mettere in conto di poter andare alla deriva.
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