..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

martedì 1 giugno 2010

AURICCHIO INDAGINI PICCANTI

Ci era stato presentato con il volto di Daniele Liotti nella fiction “Operazione Off–Side”, prodotta dall’emittente del gruppo Telecom Italia, mentre per Luciano Moggi era stato scelto l’ottimo – ma meno attraente – Mattia Sbragia. Quando al conduttore fu chiesta la ragione di ciò, Piroso rispose che Liotti era stato scelto per ragioni di “somiglianza all’originale”. Oggi è facile per chiunque giudicare, utilizzando un termine da aula di tribunale, l’attendibilità del “teste” Piroso e la bontà del lavoro svolto.
Dopo il successo de “Il libro marrone dell’accusa” , che oggi restituisce circa 6000 risultati su Google, nonostante la sua complessità – si tratta pur sempre di oltre 300 pagine di trascrizioni in formato A4 – e il mutismo dei VIP sedicenti juventini ma col portafogli a strisce azzurre o rosse, mai bianche, abbiamo pensato di raccogliere in un ebook anche le trascrizioni della lunghissima testimonianza rilasciata dal valente tenente colonnello Auricchio.
Chi è Auricchio?

Auricchio è più di un testimone chiave, Auricchio è il capo della squadra che ha condotto l’indagine. Non c’è ipotesi accusatoria che non sia stata vagliata e promossa da lui. Era il Moyses che separava il mare magnum delle 171 mila intercettazioni in “interessanti” e “non interessanti”, per non far pesare troppo il lavoro ai pubblici ministeri Beatrice e Narducci.
La Lorena Bobbit dell’edicola, con i suoi centinaia di articoli di giornale ritagliati e posti nelle informative a sostegno dell’accusa perché: Gazzetta, Repubblica e Corriere dello Sport «sono addetti ai lavori, più competenti di me». E in conformità a questa certificazione di «competenza» assegnata da Auricchio, i commenti e le analisi di semplici opinionisti tifosi sono diventate testimonianze prima e capi d’accusa poi. Un novello Thor che, dal suo carro trainato da capre, vide la dilagante corruzione nel mondo del calcio, frutto dell’ambizione di avere quelle preziose maglie della Juventus, tessute con fili d’oro, o i gioielli incastonati nei pupazzi e nei portachiavi che la società donava sottoforma di gadget aziendali. Una tentazione a cui, da quanto emerso nel processo, non hanno resistito nemmeno i rappresentanti delle Forze dell’Ordine che perquisirono la sede nel 2006. La sua statua si erge sovrana sulle redazioni sportive di mezza Italia.
La leggenda narra che, quando i soldati del Re Olaf – a Hundorp – cominciarono ad attaccare la statua di Thor fino a distruggerla, dalle crepe fuoriuscirono ratti, topi e serpenti.
Chiamato a testimoniare al processo per ben sei udienze, proprio come avvenne per la statua di Thor, anche quella di Auricchio si è crepata man mano che le lingue affilate dei legali delle difese hanno evidenziato le enormi lacune del teorema accusatorio e criticato un metodo d’indagine mai foriero di ricerca della verità.
Da quanto emerso, infatti, si è partiti da un’accusa da bar-sport per poi raccattare tutto quanto potesse tornare utile per tenere in piedi quel castello accusatorio. Ecco materializzarsi quindi i ritagli di giornale degli opinionisti tifosi, le testimonianze di gente che giustificava con la figura di Moggi i propri fallimenti, i «non ci interessa» come risposta a quanti denunciavano fatti non riguardanti l’ex direttore generale della Juventus, le poche decine d’intercettazioni accuratamente selezionate per trasformare un comportamento eticamente
scorretto in un reato sportivo e penale. L’amicizia, l’interesse comune, il far parte di uno stesso mondo, vennero (e sono tuttora) rappresentati come evidenti prove dell’esistenza di un’associazione per delinquere. Perché, se Luciano Moggi ti porta un panettone a casa, i canditi d’acero scartati non possono essere nient’altro che la prova di un delitto appena consumato.

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