..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

giovedì 22 luglio 2010

MOLTI LO DICONO

Quattro cortei di quattro gatti, a contendersi le spoglie di due giudici che combatterono la mafia a dispetto di molti colleghi, Falcone e Borsellino. Quattro comitive di manifestanti tutte fieramente decise a tirare dalla propria parte due magistrati che, se sentissero le interpretazioni fantasiose date al loro pensiero ed alle loro azioni, si rivolterebbero nella tomba. Ma non è questo il punto. Tutti e quattro i gruppi scesi in strada per ripetere il solito cerimoniale hanno una sola idea in testa: in quegli anni – che è meglio mantenere nel vago, altrimenti la tesi non sta in piedi –; in quegli anni la seconda repubblica nacque con la complicità e magari perfino sotto la guida della mafia. E per farla breve, la prima vittoria di Berlusconi e tutte le altre che ne seguirono, macchiate di quella sorta di peccato originale, sono dovute all'azione di poteri mafiosi insinuatisi nelle pieghe e nei gangli dello Stato.

È una tesi che manca dello straccio di una prova, che viene avvalorata da osservazioni sciocche, del tipo «molti magistrati lo dicono», in bocca a persone che non dovrebbero permettersi di farle. È una tesi che, con le sue molte varianti, è avvalorata e arricchita dalle esternazioni di ex-presidenti della Repubblica e di personalità varie collegate alla cultura ed alla professione vitalizia dell'antimafia – ma quella che fa mettere in galera i mafiosi più che in ogni altro momento è la politica del nostro ministro, e non le chiacchiere, a quanto pare. Tesi che, se comprovate, dovrebbero portare alla condanna per fellonia di decine di servitori dello Stato – peraltro ci si sta anche provando – e di centinaia di politici. Il guaio è che, appunto, è una tesi, una pura suggestione, per giunta riesumata dopo anni, che non gode dello straccio di una prova.
Ma funziona. Abituati al gossip giudiziario ed alle giustizie sommarie dei nostri dipietristi e postcomunisti, corroborati dal "fuoco amico" dei finiani, sono sempre più numerosi gli Italiani che si vedono al centro di congiure e di accordi mostruosi fra delinquenza organizzata e politica nazionale. Cesare vacilla, non reagisce, e dunque ha qualcosa da nascondere… Poco importa che in questo modo l'Italia si presenti come un immane bordello – ancor più di quanto lo sia –, e che le ipotesi più mirabolanti e infamanti acquistino, a furia di girare e rigirare, la parvenza della credibilità, appaiano "normali" e risapute nelle conversazioni al bar, entrino a far paginate di pessimo giornalismo congiurista e gossiparo nella stampa nazionale, si diffondano su quella internazionale. La caduta di Cesare – che non era "lui", il Cav, ma chi se lo ricorda? – prima di tutto, e ad ogni costo. Cada quel che deve cadere, si distrugga quel che deve essere distrutto. Penserà poi una palingenesi gestita dai buoni e dagli onesti a rimettere insieme tutto in un battibaleno, magari sulla base di una Costituzione postbellica.
Sulla qualità e sulle doti politiche della attuale classe dirigente abbiamo già tutti espresso esaurienti giudizi. La tendenza a infilarsi nei pasticci più indecorosi, l'incapacità di vedere i trabocchetti, la scarsa trasparenza, la propensione a ingolfarsi in discussioni all'aria fritta tralasciando le cose serie per correr dietro a questo o a quel provocatore, sono davanti agli occhi di tutti e non hanno scusanti. Qualche comprensione invece merita l'impreparazione dei nostri a reagire ad attacchi gestiti con tanto disprezzo per quel bene pubblico che è la democrazia e la stabilità democratica. E dubito che, con un nemico in casa in grado di condizionare con i numeri ogni scelta coraggiosa della maggioranza, ci sia ancora il modo di adottare la sola via possibile in questa situazione: ignorare gli attacchi e i continui tentativi di sputtanamento e puntare direttamente al cuore del problema: la riforma delle riforme, quella della magistratura.

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