Prima di emigrare definitivamente a nord di Londra, credevo di appartenere ad un popolo diverso, non scrivo di migliore o peggiore, semplicemente diverso.
Ho sempre inteso il calcio come un'insieme di circostanze che comportino il raggiungimento di un progetto, di un'idea. Quando queste ultime sono mancate non era difficile intuirne il fallimento, economico e sportivo; le ultime quattro stagioni bianconere sono li a testimoniarlo.
Però, ogni anno e per quattro anni, un popolo (faccio il generico) ha creduto alle copertine dei giornali, alle prime pagine dei quotidiani, esaltando una voglia di rivalsa senza accorgersi dell'assenza totale di un'idea.
Quest'anno, invece, l'inchiostro usato per evidenziare i "migliori" è stato rigorosamente rossonero, creando stati d'animo diametralmente opposti: gli eletti tronfi per i complimenti, gli altri, ed in particolare i bianconeri del Po, delusi.
Del costruttore di pentole annichilito in una serata di fine estate al Dino Manuzzi preferisco non occuparmene, ha e avrà i suoi problemi, direi irrisolvibili, mentre quella società che sta cercando (programmando) di tornare ad essere quella che era, meriterebbe ben altre considerazioni rispetto a quelle che, invece, leggo e sento da quando si è insediato il nuovo staff tecnico.
Qui le strade sono due: 1) non sono più in grado di intendere e volere calcio, e di conseguenza quello che scriverò andrà preso per tale; 2) c'è un popolo diverso da come l'ho sempre creduto.
Non accorgersi, o fare finta, che la Juventus è stata costruita per venire fuori nel tempo, dopo il lavoro di Delneri, con l'inserimento dei nuovi acquisti di Marotta, e soprattutto con una condizione fisica che esalterà le qualità dei singoli, vuol dire "masticarne poco".
Non accorgersi che la campagna acquisti ha mirato su determinati ruoli, coprendo le falle create nella gestione precedente, e offrendo al gruppo tecnico la possibilità di scelta, vuol dire creare disinformazione.
Accanirsi contro un singolo, evidenziarne l'errore, ergerlo a capro espiatorio significa appartenere a quel modo di vedere calcio che mai ho concepito: una squadra gioca bene, una squadra gioca male. Il singolo può avere una giornata "no", le colpe sono altra roba.
Ora me ne ritorno a nord di Londra, ma con due consapevolezze: questa squadra crescerà, trovando un suo equilibrio e soprattutto segnando la strada del futuro, perché quando si lavora e si hanno idee il futuro fa un po' meno paura; questo popolo lo credevo diverso, ma evidentemente i miei problemi di intendere e volere calcio sono divenuti cronici.
Nessun commento:
Posta un commento