..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

venerdì 17 giugno 2011

BLACK DUB

Al primo ascolto mi s'è evidenziato immediatamente il suono delle chitarre, in cui gli echi del suono riverberato e messo in loop m'ha riportato agli U2, e non a caso.
Infatti il progetto dei Black Dub è stato partorito da Daniel Lanois, l’uomo che ha segnato indelebilmente il sound degli U2, di Bob Dylan e recentemente anche di Neil Young. Scoperto da Brian Eno, Lanois ha con quest’ultimo intrapreso una proficua collaborazione.
Il primo incarico affidatogli da Eno è stata la co-produzione dell’album The Unforgettable Fire degli U2. Successivamente nel 1987, sempre insieme ad Eno, supporta gli U2 per la realizzazione di The Joshua Tree che gli varrà l’assegnazione del Grammy per la categoria Album dell’anno.
Bono presenta allora Daniel a Bob Dylan e questi gli affida la produzione del suo Oh Mercy (1989). Otto anni dopo, Dylan e Lanois lavoreranno insieme per Time Out of Mind, il primo lavoro di studio del cantautore americano dal 1990, grazie al quale vincerà un altro Grammy.
Negli anni seguenti proseguirà le collaborazioni con diversi artisti, partecipando attivamente alla realizzazione di altri prodotti discografici di grande successo, specialmente con gli U2.
I Black Dub, però, non sono solo Lanois, il gruppo infatti ha come co-fondatori Trixie Whitley (figlia del compianto Chris) alla voce, Brian Blade alla batteria e Daryl Johnson al basso. Lo stile è decisamente vario, anche se l'accento è tendenzialmente legato al blues. Naturalmente c'è del Dub, inteso nel senso più ampio del termine e non soltanto legato al reggae. Eccellente il lavoro sulla ritmica grazie alla presenza di Johnson e Blade, musicisti con un curriculum legato al jazz, esaltante la voce sensuale di Trixie, decisamente più forte di quella più "fragile" di Lanois, che funziona meglio come contrappunto.
L'originalità e la profondità del suono prodotto fa di questo progetto, e di questo lavoro, qualcosa da non farsi mancare. Ring The Alarm vi trasporterà immediatamente, facendovi assaporare un suono misto di profondità e ampiezza, una sorta di stratificazione in cui potervi muovere. I Belive In You, invece, pesca direttamente dal mondo del reggae, e la voce della Whitley sarà capace di graffiarvi con sensualità. L'album omonimo comprende anche: Love lives(la mia preferita, grazie ad una Trixie formato super); Last time; Surely(consiglio per l'uso: spegnere le luci); Nomad; Slow baby; Silverado (molto black); Sirens.

Nessun commento: