E’ un titolo che ricorda la morte di Senna. Un anno maledetto quello, per Ayrton, brevissimo, 1994; un anno maledetto questo, lungo, di Marco Simoncelli. Dentro il quale ci sono stati troppi nodi. La polemica esasperata per la sua esuberanza in pista, una polemica amara perché innescata dai suoi colleghi; la lunga, lunghissima trattativa per il rinnovo del contratto con la Honda. Tutta roba chiusa in un baule alla vigilia della corsa che l’ha portato via. C’è sempre la possibilità di scovare qualche oscura bizza del destino quando un pilota muore e il ripercorrere ciò che è stato sino agli ultimi istanti è un affare che riguarda tutti noi qui, convinti in qualche modo di avere a che fare con segnali intravisti, con ragioni più o meno misteriose, con fastidi che si intrecciano con la casualità. Come se non fossimo capaci di abituarci al fatto che in corsa la vita è minacciata, a rischio.
Possiamo star qui ad analizzare l’incidente alla moviola, possiamo star qui a tentare una indagine sull’anima di Marco, attraversata da una fame che rende magnifici i campioni, da una voglia che rende coraggioso chi pretende di più da se stesso. Ma forse possiamo soltanto fare una cosa, adesso, tra un’ora, un giorno. Possiamo trattare il ricordo con una pietà che mette a zero il resto, privatamente, ciascuno come può. Marco è stato una bellissima luce per me, per tutti noi. Crediamo, per tutti voi che proprio qui gli avete scritto ottenendo divertite e divertenti risposte per anni. Il Sic, oh sì, un discolo, un bambino carico di vivacità. Questo possiamo trattenere per sempre e con affetto. Il ricordo di una persona che ci ha fatto compagnia e che, inseguendo un piacere intimo e formidabile, ci ha mollati qui. Dunque, buon viaggio caro Marco. E non tagliarti quei capelli.
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