Per molti, tanti, i mondiali di calcio saranno per sempre quelli del cielo azzurro sopra Berlino, quelli del 9 luglio 2006, quelli del rigore di Fabio Grosso e delle urla sguaiate del telecronista moderno.
Per me, per quelli appartenenti ad una generazione che sta fisiologicamente sostituendo quella dei nostri padri, i mondiali di calcio saranno per sempre quelli dei gironi di Vigo e La Coruña, dei pareggi senza infamia e senza lode con Perù, Camerun e Polonia (che poi ritroveremo in semifinale).
Saranno per sempre i mondiali dello sceicco Fahad Al-Ahmed Al-Jaber Al-Sabah, attore protagonista in Francia-Kuwait per aver fatto annullare il goal al transalpino Giresse, del conflitto tra britannici e argentini (entrambi presenti in Spagna) svoltosi tra aprile e giugno per il possesso delle Isole Malvinas, del biscotto tra Germania Ovest e Austria che condannò all'eliminazione l'Algeria, del Belgio che a sorpresa sconfisse nella gara inaugurale l'Argentina campione in carica. Saranno per sempre i mondiali del Brasile di Eder, Socrates, Junior, Falcao e Zico, dell'incredibile, assurda, storica e leggendaria semifinale tra Francia e Germania.
Ma soprattutto saranno per sempre i mondiali della tripletta di Pablito Rossi alla maestosa Seleção, di Claudio Gentile contro Maradona e Zico al Sarrià di Barcellona, della notte di Madrid, del rigore sbagliato da Cabrini, dell'urlo più celebre della storia del calcio, di Sandro Pertini impegnato a spiegare a spagnoli e tedeschi che nessuno ci avrebbe presi più. Dello "scopone" durante il viaggio di ritorno tra Berazot, Causio, Zoff e lo stesso Presidente della Repubblica. Dei modi semplici e gentili di un telecronista che al triplice fischio finale non fece altro, senza sbraitare, che mettere nero su bianco la storia: "Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, Campioni del Mondo!"
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