E' come se si potesse ancora sentire quel puzzo che, bruciando l'ossigeno all'interno della Lancia Lambda posteggiata all'angolo tra via Scialoja e il lungotevere Arnaldo da Brescia, attendeva la quotidianità di Giacomo Matteotti.
E' come se Dùmini, Viola, Volpi, Malacria e Poveromo, accomunati dalla trincea, dalla galera, dal fumo e dal vino, adombrassero ancora una volta quelle nubi che segnarono indelebilmente i vent'anni più bui della storia del novecento.
E' come se quel Roskopf d'argento posizionato nella tasca di uno dei fondatori del Fascio di Firenze segnasse ancora le 16:40 del 10 giugno 1924.
Come fermo nel tempo. Come se nulla fosse mutato, cambiato. A un secolo di distanza.
A un secolo di distanza dal giorno in cui il socialista che denunciò la validità delle elezioni dell'aprile del '24 fu scortato, dopo aver imboccato ponte Milvio, nella campagna romana, il numero di matricola 75190 è stato dotato di scorta.
Dall'anno domini 2019, in data giovedì 7 novembre, la senatrice Liliana Segre, la bambina che il 30 gennaio 1944 venne deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, vivrà sotto scorta.
Colei che alla fine di gennaio del 1945, dopo l'evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania. Colei che venne liberata dall'Armata Rossa il primo maggio 1945 dal campo di Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbrück. Colei che dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati ad Auschwitz, fu tra i venticinque sopravvissuti, potrà circolare su territorio italiano scortata da due carabinieri.
Una misura a tutela di una donna che, avversata da un’escalation di odio, potrebbe essere vittima di attacchi razzisti.
Una decisione che evidenzia la sconfitta della politica. Un provvedimento che mette nero su bianco la sconfitta di una società in preda ad un clima distante dal vivere democratico. Una disposizione che narcotizza e rende apatiche le coscienze, la ragione, sconfitta culturale di un Paese che dalla storia non ha imparato niente.
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