di Giuseppe Ceretti
dal Sole24Ore
Nel Paese del "qui lo dico e qui lo nego" le polemiche non finiscono e i problemi non si risolvono mai, perché i protagonisti hanno almeno una buona ragione per non trovare conveniente una via d'uscita. Il calcio non fa eccezione.La scena-madre della puntata domenicale della soap in onda quest'anno, dal titolo "I patimenti dell'arbitro immaturo", ha avuto ancora una volta quale teatro lo stadio Meazza di Milano. L'arbitro Tagliavento (un nome, un destino) concede un rigore all'Inter e scambia per un fallo di mano una gran pallonata che colora di viola l'orecchio di Vannucchi, difensore dell'Empoli. Mancini, fresco reduce dal silenzio stampa, ammette l'inesistenza della massima punizione, e aggiunge, non senza fondamento, che la decisione ha condizionato il direttore di gara, danneggiando la sua squadra in forza di una perversa par condicio. Gli addetti ai lavori annuiscono e persino Spalletti, che nasconde a fatica la palese antipatia nei confronti del collega, abbozza. Nel copione sono trascritti analoghi episodi in Reggina-Torino, ma occupano scene di secondo piano, sia in tv che sui giornali. Sulla graticola rimane Collina e qualcuno insinua il dubbio che l'uomo dietro la scrivania non sia pari a quello di un tempo in campo con il fischietto. Piovono nel contempo squalifiche (pardon, stop tecnici) sugli arbitri sotto processo e con questo andazzo le giacchette un tempo nere rischiano di rimanere senza truppe.
Nelle giornate di mezza settimana, dedicate ai buoni propositi che non costano nulla, torna alla ribalta l'ipotesi di roi Michel, il gran capo della Uefa Platini, di aggiungere un paio d'arbitri dietro alle porte per meglio controllare ciò che accade nelle concitate aree di rigore. Qualcuno si chiede che ci stia a fare oggi il quarto uomo: non occorre certo un arbitro per manovrare una lavagnetta luminosa e per costringere gli allenatori a vagare entro i perimetri assegnati.Tutto bene? No, perché così si rischia di abbassare l'audience e il venduto in edicola.La Gazzetta, che di calcio campa (lo diciamo senza ombra di giudizio, come dire che il Sole24Ore campa di finanza, economia e norme tributarie) pubblica due intere pagine con il conto completo di favori concessi e torti subiti da tutte le squadre di serie A. Alla fine la classifica come poteva essere con arbitri meno sprovveduti. È un gioco da maneggiare con cura, avverte la Rosea. Ma la classifica virtuale porta la Juve in testa e l'Inter sotto. Benzina sul fuoco.Il giorno dopo il gran sacerdote Candido Cannavò, direttore per una vita del quotidiano sportivo di via Solferino, prova a mettere una pezza: «Cara Gazzetta- scrive -attenta ai giochi pericolosi che si sono spinti ben oltre i confini del divertimento in un ambiente che non avrebbe bisogno solo di due arbitri in più dietro alle porte, ma di un bel salto culturale».
Qual è il davanti?
di Trillo
di Trillo
Se penso a quando Beppe Grillo riusciva a costruire interi show con le battute sui socialisti, non posso che compatirlo: era davvero uno sfigato a corto di materiale.Immaginate che fortuna avrebbe oggi, se solo fosse interessato al pallone, con le valanghe di idiozie che giornalmente appaiono sui quotidiani nazionali color carta igienica delle F.F.S.S. anni ‘70, a corredo delle cronache sul campionato di calcio di serie A.Con una mossa da lasciare interdetti quanto una finta di Zidane, martedì scorso la Gazzetta dello Sport ha pubblicato una classifica virtuale, al netto degli errori arbitrali che i Collina Boys hanno commesso nelle prime 21 giornate di campionato.Questo tipo di esercizio dementoide, fino a pochi anni fa era riservato ai sempre pacati e pacifici esponenti del giornalismo romano, in particolar modo quelli con un debole per il giallorosso.Probabilmente risvegliato dal suo stato di torpore legato all’età, il Candido ma non troppo ex direttore (oggi editorialista in cerca di continue spiegazioni con la sua rubrica “Fatemi capire”) Candido Cannavò, non l’ha presa bene, la storia della classifica rivisitata.In un piccato articolo rivolto al direttore in carica Verdelli, ha spiegato per filo e per segno i motivi del suo disappunto per una scelta così insensata da parte dell’”amata Gazzetta”.Come mai – si chiede Cannavò – con una serie di mosse incomprensibili alla Houdini, il giornale rosa ha fatto sparire dalla vetta della classifica “la squadra che domina da due stagioni ed è in testa al campionato con otto punti di vantaggio? E il primato, l’imbattibilità, Ibrahimovic, Cruz, le formazioni intercambiabili, i 44 gol, i riconoscimenti unanimi di superiorità anche dai fronti nemici, sono tutta un’illusione collettiva?”.Secondo il saggio ex direttore, il giochino di quello “strano intermezzo rosa” si sarebbe spinto un po’ troppo oltre i confini del semplice divertimento, diventando pericoloso. Perché alla Gazzetta – sempre secondo Cannavò – ai giochini hanno sempre preferito le denunce, dove ci sono gli estremi per farle. Beh, per rispetto alla sua età, signor Cannavò, non le dirò che ha proprio la faccia come il culo, ma se mi passa la metafora, lei e la seicento multipla sembrate proprio due gocce d’acqua.Le ricordo, sempre per rispetto alla sua età – arrivati alla quale, probabilmente, due anni possono pesare come cento – che nel 2006 lei ed il suo giornale alimentaste il più grande schiamazzo mediatico della storia del calcio, pubblicando e denunciando cose per le quali gli estremi per la condanna non li hanno trovati nemmeno i giudici sportivi nominati a furor di popolo per mettere il sigillo al vostro lavoro. Si sono dovuti inventare degli illeciti che non esistevano, per condannare la Juventus alla serie B (quella vera, non quella virtuale dei giochini pericolosi che tanto la inquietano), emettendo condanne raccapriccianti basate su sentenze raccapriccianti, che il suo giornale, sempre lui, conosceva e scriveva sistematicamente con uno “strano intermezzo rosa” il giorno prima che venissero rese note.Siccome rivolgendosi al direttore Verdelli lei dice di “conoscere la sua linea morale e l’intransigenza dinanzi agli scandali e alle patologie del calcio”, le ricordo che la pipì si fa nella tazza grande con il coperchio di plastica, mentre quello con lo sportello frontale, che quando lo apre le viene un brividino, si chiama frigorifero, e non ci si deve pisciare dentro per nessuna ragione al mondo. Nel frattempo rammento io, all’intransigente Verdelli, che la squadra che domina da due anni ed è in testa alla classifica con otto punti di vantaggio, senza gli interventi fanta-spumeggianti sui bilanci (quelli sì, degni di Houdini), non avrebbe nemmeno potuto partecipare agli ultimi campionati di serie A. Appena Candido ha finito di scrollarsi, magari parlatene tra voi, e vedete se potete mettere giù un pezzo su questo argomento, giusto per mantenere dritta quella linea morale attribuitale dal Candidissimo.Signor Cannavò, si è lavato le mani? Bene. Leggo con estremo piacere che le ultime righe del suo articolo sono dedicate alla Juventus. Riesce a cogliere un lato positivo anche da questa vicenda controversa della classifica virtuale (secondo la quale, mi ero scordato di dirvelo, la Juventus risulterebbe prima davanti a Inter e Roma, appaiate al secondo posto: ma per favore), perché “rivedere la Juve in testa, se pure solo per un martedì – dice –, mi ha intenerito”. Due cose, invece, inteneriscono me, caro signor Cannavò: gli anziani quando fingono e raccontano le bugie, perché assomigliano ai bambini piccoli, e la Juventus. Ma non quella in testa alla classifica virtuale della Gazzetta di martedì scorso, bensì quella patetica e sorridente, senza ragioni per sorridere, di tutti i giorni da quasi due anni a questa parte.Sempre sperando di farle cosa gradita, vista la scarsa capacità di memoria che traspare dalle sue considerazioni, le ricordo che quando il suo giornale sparava a zero sulla Juventus dei truffatori (per citare un personaggio della Milano-Bene a lei tanto caro), quella Juventus deteneva il primato (da due campionati consecutivi), Ibrahimovic, il miglior attacco, la miglior difesa, i riconoscimenti unanimi di superiorità (tranne di alcuni, che sono poi gli stessi di oggi e che, nonostante la sparizione di Moggi, non vincono lo scudetto nemmeno se piangono), con in più, rispetto all’Inter di oggi, cinque titolari italiani diventati campioni del mondo un mese dopo quei due anni consecutivi passati in testa al campionato, e tre titolari diventati vice campioni del mondo disputando la finale contro l’Italia. In panchina non sedeva più il pluridecorato allenatore della Juventus Marcello Lippi, c.t. della nazionale mondiale di cui sopra, ma un pivellino di nome Fabio Capello, del quale le sconsiglio di andarsi a rileggere il palmares, se non vuole rischiare di arrivare a metà ed essere colto da un ictus da stress per le troppe voci da memorizzare.Oggi invece, secondo lei, la classifica vera è quella che figura nella Gazzetta del Lunedì, punto più, punto meno. A meno che – aggiunge sarcasticamente – dopo l’ultimo scandalo, non ci siano avvisaglie di una ‘ndrangheta del pallone.Più che ‘ndrangheta del pallone, una loggia della disinformazione. Più che avvisaglie, quasi due anni di prove scritte, nero su bianco.
A farci fare un "salto" (sul "culturale" non giureremmo) provvedono Moratti e Cobolli Gigli, presidenti di Inter e Juve. Il patron dei nerazzurri mette in moto la macchina del tempo e ricorda che nel 2002 l'Inter avrebbe vinto lo scudetto ben prima del fatale 5 maggio, quando affondò a Roma contro la Lazio perdendo il primo posto «se non ci fosse stata quella banda di truffatori». Cobolli Gigli replica indignato: «Fu vittoria pulita, così si offendono allenatore e campioni di quella stagione». E già che c'è, giudica buoni anche quelli annullati. Sullo sfondo l'ombra di Moggi.
Così vanno le cose del calcio, in un'ordinaria settimana, come quadri di una telenovela. Sul set la macchina da presa si sposta sopra una rotaia da una scena all'altra e registra in sequenza l'Accusa, lo Sdegno, l'Emozione, la Violenza, la Riappacificazione, i Buoni Propositi. Rapide inquadrature, promesse fugaci e si ritorna al quadro precedente. Qui lo dico e qui lo nego.Gli appelli alla saggezza si perdono nelle nebbie dei tifosi dagli occhi bendati: ciò che conta è che la mia squadra, la mia tv, il mio giornale, la mia azienda vinca, con ogni mezzo. Il calcio in Italia non è più un gioco da tempo immemorabile. Facciamocene una ragione.
Nessun commento:
Posta un commento