..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

giovedì 23 ottobre 2008

AI NOSTRI STUDENTI NON RESTA CHE ISCRIVERSI AL CEPU

Produciamo meno laureati del Cile e nessuna università italiana figura tra le migliori 150 al mondo
Per aiutare gli studenti italiani, ci vorrebbe una sorta di Cepu di Stato, si un bel corso di preparazione (e facilitazione) per gli esami, visto che l’università italiana “produce meno laureati del Cile”. Parola del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, la quale forse non lo sa, ma sta ricevendo un grosso favore dalla sinistra che scende in piazza. E già, perché si tratta di una sinistra cieca, che confonde la scuola con l’università e serve un assist d’oro alla ministra che specifica “che le proposte sugli atenei saranno presentate solo dopo l’approvazione dei decreti riguardanti la scuola dell’obbligo”. Un modo sottile per dire ad insegnanti, dottorandi e studenti (ad occhio più “fuori corso” che “in corso”) state protestando per il nulla. Certo è che il Governo qualcosa farà, “perché serve trasparenza” e di questo passo “si arriva al collasso”. Sono i numeri, i cui esperti sono tanto inclini alla piazza, ad inchiodare l’università italiana. Nella nostra penisola ci sono 94 atenei, con 320 sedi distaccate nei posti più disparati.
Troppe? Decisamente sì, visto che ci sono 37 corsi di laurea con un solo studente e 327 facoltà che non superano i 15 iscritti. “E poi – spiega la Gelmini – negli ultimi 7 anni sono stati banditi concorsi per 13.232 posti da associato e nel 99,3% dei casi sono stai promossi senza che ci fossero posti disponibili”; con un aumento dei costi di circa 300 milioni di euro. Onestà intellettuale, però, vuole che le colpe siano bipartisan, visto che dal 2001 in poi, non sempre la sinistra è stata al governo. Anzi. E così, si è passati in poco tempo da 2444 corsi di laurea ai 5500 di oggi (in Europa ce ne sono la metà), con una mistica moltiplicazione delle cattedre e dei posti per i professori, senza che un solo ateneo italiano figuri tra i migliori 150 del mondo. “Da adesso in poi – tuona la Gelmini – si volta pagina, si cambia registro”. Forse alla Moratti fischieranno le orecchie. La parola d’ordine è “trasparenza”, visto che “ci sono cinque università importanti con buchi enormi”. E sul discorso relativo al precariato, lancia una dura accusa alla sinistra che “ha assunto tutti, anche quando non c’era posto, creando solo lunghissime liste di attesa”. La ministra si dice comunque pronta ad “incontrare i rappresentanti sociali ed ascoltare le loro proposte”, augurandosi intanto un “abbassamento dei toni”.
Un appello questo, però, destinato a cadere nel vuoto. Perchè non può essere altrimenti. Oltre ai numeri impietosi, a condannare la nostra università sono i fatti. Vogliamo parlare di Papa Ratzinger che non ha potuto tenere la lectio magistratis a La Sapienza di Roma? E perché mai lo Stato dovrebbe dialogare con chi non ha voglia di stare a sentire chi non la pensa come lui. E già ci immaginiamo i titoli odierni di alcuni quotidiani, che spazieranno da “Stato di Polizia” a “Scuola di Polizia” passando per un “Silvio fascista” oppure “Olio di ricino e pennarello”. E già, perché per una parte degli universitari italiani le regole sono un optional. Occupare è ritenuto un gesto normale, così come fare politica (quasi sempre di sinistra) invece che andare a lezione. Così come “riservarsi” delle aule, destinate allo studio, per farsi le canne (chi scrive non è un proibizionista, solo che quando fumava lo faceva in casa propria) è la regola. Questa è l’università italiana, dove si va per fare di tutto tranne che studiare. Con il plauso di docenti che pensano che il sessantotto non sia mai finito. E che la rivoluzione sia prossima ad arrivare. Forse non ci rimane altro che iscriverci a Cepu.
di Francesco Blasilli
L'OPINIONE DELLE LIBERTA'

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