
I democratici americani hanno una loro identità, quelli italiani no; e l’identità passa attraverso le prese di posizioni dei propri leader. “E’ emblematico l’ultimo caso, quello della Binetti. Cosa pensa Veltroni in proposito?”. Insomma, Veltroni deve mettere da parte i “ma anche”, altrimenti prende dall’America solo gli insegnamenti “sbagliati” come internet, facebook e cose simili. Insomma, Veltroni ha avuto un’ottima intuizione iniziale, “ma se vuole arrivare fino in fondo deve cogliere il messaggio di identità che arriva dagli Usa, un messaggio in proporzione simile a quello che arrivò da Zapatero”. Il messaggio che arriva è semplicissimo: “il centrosinistra può vincere se ha le idee chiare e non confuse”. C’è infatti da sfatare un mito: che Obama abbia vinto per il suo colore della pelle. “Sono gli stessi dati – conferma Marturano – a dire che ciò non è vero, visto che non è che sia aumentata in modo sensibile la presenza dei coloured alle urne: il voto è stato indipendente della razza”. Così come va sfatato il mito dell’età che avrebbe determinato la sua vittoria: “Clinton nel ’92 aveva più o meno la sua stessa età ed anche Zapatero e Blair stanno lì”. Anche se è vero che Obama ha usato benissimo le tecnologie, “non ha vinto per quello”, perché già nel 2003 Dean Howard fece una campagna all’insegna delle tecnologia ma venne sconfitto da Kerry nelle primarie dei democratici. “Obama ha avuto l’intelligenza di usare bene internet, ma ha fatto soprattutto molto lavoro sul territorio, recuperando in modo moderno il passaparola e il rapporto con la gente”. In parole povere, internet “non è stato uno strumento” bensì un segno di “identificazione” per la sua “modernità”. E soprattutto ha dimostrato la capacità di prendere posizione.
Proprio per questo, è praticamente impossibile trovare un Obama italiano. “Nel Pd – confessa Marturano – dovrebbero unire tutti i leader delle vari correnti, ma Frankestein non esiste. Nel PdL, invece, fa tutto il capo, che non è certo l’Obama italiano. Veltroni e Berlusconi dovrebbero essere così bravi da gettare le basi adesso per creare l’Obama di domani”. Sul piano comunicativo, però, qualche assonanza si può trovare, “perchè Obama ha dato il senso di essere il candidato che poteva far sognare il cambiamento vero, così come è riuscito a fare Berlusconi nel ’94 e Prodi nel ’96, così come in America avevano già fatto Reagan nell’80 e Clinton nel ’92”. Tutto questo perché ci sono dei momenti storici in cui un paese ha bisogno di sognare qualcosa di diverso. Ed Obama ha intercettato questa esigenza. “Ha usato l’età e la razza per essere anche fisicamente il miglior testimonial possibile del cambiamento, ma queste due caratteristiche da sole non bastavano”. Ecco allora la chiave di volta: le scelte nette. “E’ stato chiaro, nitido. Non su tutto, ma su alcune cose sì; ha detto cose che non hanno colore politico, ma le ha dette.
Ha battuto sia la Clinton che McCain sul sociale e sulla guerra”. Anche se soprattutto nella sfida finale, le posizioni di Obama sono state “più antitetiche a Bush piuttosto che a McCain”. Un po’ quello che ha fatto Berlusconi contro Prodi, accennando solo ogni tanto a Veltroni, il quale ora deve fare delle scelte drastiche se vuole veramente ispirarsi ad Obama. Certo è che anche il centrodestra, palesemente salito sul carro del vincitore, “qualche cosa da imparare da Obama la avrebbe”, conclude Marturano, perché anche in un periodo di crisi come questo la soluzione è nel futuro“. Non bisogna rifugiarsi nel ”ritorno al passato“, ma si può anche proporre di ”affrontare la crisi guardando al futuro: una cosa necessaria per gestire il consenso negli anni futuri che saranno difficili“. Ad occhio, però, anzi...ad orecchio, ad ascoltare le dichiarazioni di tutto il mondo politico italiano, l’elezione del primo presidente nero degli Stati Uniti si sta dimostrando solo l’ennesima occasione di parlarsi addosso. Altro che imparare qualcosa.
di Francesco Blasilli
da L'Opinione delle Libertà
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