Un "cappotto" umiliante e un quasi sorpasso in casa. Il Pd non solo perde l'Abruzzo ma rispetto alle politiche arretra di ben 14 punti, scendendo dal 33,7% al 19,6%, a beneficio invece dell'Italia dei valori, che triplica toccando il 15% dal 4,3 di aprile.
Siamo stati in molti, appena fu sancita l'alleanza tra Pd e Di Pietro per le politiche del 13 aprile, a capire che si trattava di un autentico suicidio, di un errore di quelli blu, incomprensibile e imperdonabile, da parte di un politico che si riteneva esperto e furbo come Veltroni. Il crollo del Pd in Abruzzo, ampiamente previsto da tutti i sondaggi, è il frutto inevitabile di quella scelta funesta, che ha impedito, e ancora impedisce, al Pd di assumere un profilo riformista credibile.
Tutta l'analisi del voto è racchiusa nel giudizio semplice e conciso di Berlusconi: Veltroni «ha consegnato la sinistra ai modi eversivi di far politica del signor Di Pietro». E' il fallimento della politica ambigua dell'"andiamo da soli ma anche no", e della scelta proprio di Di Pietro come unico alleato, tra tutti i possibili compagni di viaggio (i socialisti, i radicali). Come se non bastasse, scelta ancora più incomprensibile, per le elezioni abruzzesi, quella di candidare proprio un volto dell'Idv alla presidenza della regione.
Pur nella sconfitta del suo candidato, Di Pietro esulta perché ha sotto i piedi le macerie del Pd. Il dalemiano Latorre scopre l'acqua calda, «che Di Pietro sta erodendo elettorato più a noi che ai nostri avversari». In realtà i dalemiani l'hanno sempre saputo, ma si sono guardati bene dal contrastare da subito apertamente, alla luce del sole, la scelta del segretario. Ma cos'altro ci vuole per rendere finalmente contendibile, sul serio, la leadership del Pd?
E il PdL da parte sua ha trovato il nuovo avversario dalle uova d'oro: finché Pd e Idv rimarranno alleati, Di Pietro è la migliore garanzia - com'era Bertinotti - che non ci sarà mai un rilevante travaso di voti di centrodestra verso il Pd.
«È ora di rompere questa alleanza fasulla e suicida: subito e per sempre», chiede oggi Menichini, direttore di Europa, arrivando anche lui con ingiustificabile ritardo.
«Ora Veltroni dev'essere conseguente con la lezione appresa: continuare a trascinare l'alleanza con Di Pietro, a ogni livello, è per il Pd un puro suicidio. Come hanno capito tutti coloro che nel tempo si sono illusi di addomesticare l'ex pm, e ce ne sono di illustri e di abili: da D'Alema a Rutelli, da Parisi a Prodi, Di Pietro ha come unica stella polare se stesso, come unica fedeltà quella alla propria avventura. Non c'è da stupirsi, ma da trarre le conseguenze».
Ma se ci hanno messo quasi vent'anni per rompere con la sinistra comunista, quanti ce ne metteranno per rompere con l'ala giustizialista?
di JimMomo
da Il Legno Storto
Siamo stati in molti, appena fu sancita l'alleanza tra Pd e Di Pietro per le politiche del 13 aprile, a capire che si trattava di un autentico suicidio, di un errore di quelli blu, incomprensibile e imperdonabile, da parte di un politico che si riteneva esperto e furbo come Veltroni. Il crollo del Pd in Abruzzo, ampiamente previsto da tutti i sondaggi, è il frutto inevitabile di quella scelta funesta, che ha impedito, e ancora impedisce, al Pd di assumere un profilo riformista credibile.
Tutta l'analisi del voto è racchiusa nel giudizio semplice e conciso di Berlusconi: Veltroni «ha consegnato la sinistra ai modi eversivi di far politica del signor Di Pietro». E' il fallimento della politica ambigua dell'"andiamo da soli ma anche no", e della scelta proprio di Di Pietro come unico alleato, tra tutti i possibili compagni di viaggio (i socialisti, i radicali). Come se non bastasse, scelta ancora più incomprensibile, per le elezioni abruzzesi, quella di candidare proprio un volto dell'Idv alla presidenza della regione.
Pur nella sconfitta del suo candidato, Di Pietro esulta perché ha sotto i piedi le macerie del Pd. Il dalemiano Latorre scopre l'acqua calda, «che Di Pietro sta erodendo elettorato più a noi che ai nostri avversari». In realtà i dalemiani l'hanno sempre saputo, ma si sono guardati bene dal contrastare da subito apertamente, alla luce del sole, la scelta del segretario. Ma cos'altro ci vuole per rendere finalmente contendibile, sul serio, la leadership del Pd?
E il PdL da parte sua ha trovato il nuovo avversario dalle uova d'oro: finché Pd e Idv rimarranno alleati, Di Pietro è la migliore garanzia - com'era Bertinotti - che non ci sarà mai un rilevante travaso di voti di centrodestra verso il Pd.
«È ora di rompere questa alleanza fasulla e suicida: subito e per sempre», chiede oggi Menichini, direttore di Europa, arrivando anche lui con ingiustificabile ritardo.
«Ora Veltroni dev'essere conseguente con la lezione appresa: continuare a trascinare l'alleanza con Di Pietro, a ogni livello, è per il Pd un puro suicidio. Come hanno capito tutti coloro che nel tempo si sono illusi di addomesticare l'ex pm, e ce ne sono di illustri e di abili: da D'Alema a Rutelli, da Parisi a Prodi, Di Pietro ha come unica stella polare se stesso, come unica fedeltà quella alla propria avventura. Non c'è da stupirsi, ma da trarre le conseguenze».
Ma se ci hanno messo quasi vent'anni per rompere con la sinistra comunista, quanti ce ne metteranno per rompere con l'ala giustizialista?
di JimMomo
da Il Legno Storto
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