Questa volta non vogliamo parlare di processi, di sentenze, di codici e norme, e tutto quello che in questi lunghi trentadue mesi ci ha accompagnato per cercare di capire cosa stava succedendo.
Mai abbiamo fatto illazioni, e sempre ci siamo poggiati sui fatti, ma quei processi e quelle sentenze, inevitabilmente, ci hanno rubato l’anima, strappato il cuore.
Alcuni hanno gridato, altri, non sapendo, hanno preferito tacere, qualcuno si è incazzato con chi era stato messo alla gogna, e non accorgendosene stavano tutti compiendo l’irreparabile: dimenticarsi che cos’è la Juventus. Ricordo perfettamente, in giovane età, quando con mio padre facevamo centinaia di chilometri per andare a vedere giocare Bettega, Zoff e Furino; andavamo anche la notte, per vedere i lanci millimetrici di chi mise il foie gras sul pane, indirizzati a chi la notte la faceva diventare bella.
Erano anni in cui, durante l’attesa fuori dai cancelli, si mangiava il pane con la mortadella, si beveva il vino (io no, ero piccolo) dal fiasco portato da casa, c’era addirittura chi, venendo dal sud Italia, si portava all’interno di un termos la pastasciutta calda da mangiare nelle serate fredde di Torino. Dicono che era un altro calcio. Balle. Era lo stesso calcio che si è giocato, vissuto e tifato fino all’estate del 2006.
Era il calcio che portava via dalla mente i pensieri, i problemi, che allora come oggi attraversavano la settimana dal lunedì al sabato, per poi dimenticarsene, saltando il solito turno, la domenica.
Era il calcio di Trapattoni, fischiato prima perché ritenuto difensivista – anche quando metteva contemporaneamente in campo Rossi, Platini e Boniek – e dopo perché teneva in panchina un ragazzo nato a Conegliano Veneto, ed appena approdato alla prima squadra da neo campione del torneo della città del carnevale.
E’ stato il calcio, per quelli nati negli anni settanta, del buio, che ha sfiorato i due lustri di astinenza dalla vittoria, per poi rivedere la luce grazie ad un pugno di professionisti che rimarranno per sempre nella storia bianconera.
E’ stato il calcio delle centinaia di articoli scritti per la partenza di un uomo da centocinquanta miliardi di lire, commentato da migliaia di tifosi anche nel peggior bar di Caracas.
E’ stato il calcio delle “notti magiche”, e anche se quella volta non hanno cantato Bennato e la Nannini, la coppa l’abbiamo alzata per davvero.
Tutto questo, e molto, molto altro, ha appassionato per anni i milioni di tifosi bianconeri sparsi in Italia e nel mondo, facendo crescere attese, nascere e morire amicizie per poi ritrovarle un giorno come un altro sui gradoni di uno stadio, in alcuni casi fomentare anche il più innocuo degli impiegati alle poste, per giunta sposato, con prole e iscritto ad una qualunque associazione di pace.
In quasi tre anni, per amore dei nostri colori, ci siamo ingarbugliati l’anima con ogni sorta di carta processuale, di informativa, di intercettazione, per porci quantomeno un dubbio.
Questo oggi vive dentro di noi, e con orgoglio e forza, senza timore e rassegnazione, andiamo avanti senza rinnegare nulla di quello che abbiamo perseguito, perché lo abbiamo fatto per la nostra maglia, per la nostra Juventus, avvicinandoci ad essa come forse mai ci era capitato di fare.
Ma quello che fa male, tanto male, è trovarsi ancora nella terra di Farsopoli, con davanti agli occhi una legge che non c’era e che ha cancellato la Storia e tre anni di calcio, e chissà quanti altri ancora.
Ma non dobbiamo dimenticare mai una cosa: ci hanno tolto il dominio indiscusso per settantasei giornate consecutive, due scudetti, il posto che ci spetta in Italia e in Europa, ma mai potranno toglierci la passione, quella passione per cui, dopo le tagliatelle mangiate la domenica a casa della zia, siamo nati: tifare la Juventus, con una bandiera o con un articolo.
Nessun commento:
Posta un commento