Dopo otto giorni di operazioni, e il primo in cui le forze armate israeliane sono entrate con le truppe di terra nella Striscia di Gaza, il mondo si interroga del perchè Barack Obama, futuro presidente degli Stati Uniti, stia continuando a mantenere il silenzio di fronte agli episodi che, da otto giorni, stanno interessando Gaza.
C'è chi scrive di "silenzio imbarazzante", o chi, come Aaron Miller, dalle colonne del NYT, cita Hillary Clinton, futuro segretario di Stato, la quale dovrebbe dimostrare la sua indipendenza da Israele trovando la strada che molti prevedono, ovvero la ricostruzione di un forte rapporto e di un dialogo continuo con l'Egitto per poter indirettamente mediare con Hamas.
Ma per ora tutto tace.
Secondo il subcomandante Marcos, leader dell'Ezln, l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale che da anni si batte per i diritti degli indios nello Stato sud-orientale messicano del Chiapas, l'evitare di prendere apertamente posizione contro Israele per la sua offensiva in corso nella Striscia di Gaza, Obama sta dimostrando di appoggiare l'uso della forza contro il popolo palestinese.
Le uniche parole di Obama, e di concerto di Hillary Clinton, sono state "ci sono solo un segretario di Stato e un presidente alla volta", ribadendo che fin che non scadrà il mandato dell'amministrazione Bush non commenterà più la situazione mediorientale.
Qualcuno ha cominciato a storcere il naso paragonando la situazione di politica estera con quella di politica interna, dove l'eletto si sentirebbe più a suo agio a trattare la soluzione alla crisi economica e finanziaria degli Stati Uniti, ma non alla guerra di Gaza.
A livello teorico questo atteggiamento potrebbe essere controproducente; a. considerando che un Bush con ormai le valige chiuse non ha più molta credibilità, b. nei quattro anni successivi, Obama, avrà comunque a che fare con israeliani e palestinesi.
A livello pratico, e senza il senno di poi, appare evidente di come, nella politica estera di Washington in Medio Oriente, non ci sarà alcuna differenza tra Barack Obama e George Bush.
Attualmente negli Stati Uniti appare quasi normale il silenzio della prossima amministrazione democratica, e nonostante la grande stampa non escluda una correzione di rotta nei confronti di Israele, la realtà è molto chiara.
"...anche il nuovo presidente è favorevole a una soluzione che preveda due Stati, ma oggi è impossibile trattare con i palestinesi, che sono divisi e non sanno tenere sotto controllo gli estremisti. E allora in queste condizioni Israele ha diritto di difendersi. Lo pensa Obama o lo pensano coloro che guideranno la sua diplomazia: la Clinton, Gates, Jones. La continuità con Bush è evidente". Sono le parole di George Friedman, una voce che conta negli Stati Uniti, perché il centro studi Stratfor, di cui è direttore generale, è noto per la vicinanza alla Cia e l’accuratezza delle sue analisi. In un'intervista rilasciata a Marcello Foa sulle pagine de "il Giornale", Friedman conferma che la scelta degli Stati Uniti di non intervenire è dettata dal futuro che si aspettano i governi arabi: "Chi sta con Hamas? Solo l’Iran e gli Hezbollah; tutti gli altri Paesi temono la destabilizzazione fondamentalista, a cominciare da Egitto, Giordania, persino Siria, fino ai Paesi arabi del Golfo. Siamo sinceri: a parole sono da sempre tutti con i palestinesi, ma da tempo nessuno è disposto a correre rischi per loro. La protesta è retorica, per quanto rumorosa nella piazze, ma se l’America decidesse di fare concessioni ad Hamas, i primi a protestare e ad arrabbiarsi sarebbero proprio i governi arabi".
Secondo il direttore generale del centro studi Stratfor la situazione difficilmente subirà un cambiamento di programma.
Alla domanda: "Prevede altre delusioni per i fan europei di Barack?"; Friedman risponde: "Sì, Obama non è contro la guerra, non è un pacifista. E lo dimostrerà in Afghanistan. È favorevole alla concertazione con gli alleati, ma senza rinunciare ai propri obiettivi. Presto chiederà agli europei di inviare altre truppe a Kabul, ma che risposte otterrà? Cadrà un grosso equivoco: quello secondo cui tutta la colpa delle tensioni tra Usa e Ue fosse colpa di Bush. Si avvicina il momento di un chiarimento sostanziale tra le due sponde dell’Atlantico e non è un caso che in America c’è chi metta in dubbio l’utilità della Nato".
A conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, che un silenzio vale più di mille parole.
di Cirdan
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