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mercoledì 15 aprile 2009

OBAMA E IL CONTROLLO DEL PAKISTAN

Obama, mentre cede agli ayatollah, perde dissenatamente il controllo del Pakistan
(Il tempo del 15 aprile)
Barack Obama, impegnato in formidabili aperture di dialogo con gli ayatollah iraniani, che vedono così gratificato e riconosciuto da Washington il loro pluriennale dileggio dell’Aiea e dell’Onu, sta rovinosamente perdendo ogni forma di controllo sul Pakistan. Il 27 marzo ha avvertito che i Talebani stanno tentando attentati negli Usa e in Europa partendo dal Pakistan o dall’Afghanistan, ha avvertito che il terrorismo in Pakistan “è un cancro che può divorare il paese dall’interno”, ma poi non ha concentrato tutta l’azione politica e diplomatica su questa emergenza pericolosa e incombente. Il risultato è che oggi il presidente pakistano Ali Zardari ha promulgato una legge che dà vittoria piena ai Talebani perché instaura la sharia più retriva nella regione pakistana dello Swat. Una vittoria del movimento talebano pakistano che avrà “conseguenze disastrose per l’intera regione”, come ha subito annunciato –in apertissima polemica- il portavoce del presidente afgano Hamid Karzai. La mossa di Zardari è stata disapprovata in pieno da Washington, che però la subisce senza dimostrare di avere alcuna capacità di reazione per la semplice ragione che Obama non ha nessuna strategia al riguardo. Pure, da mesi, tutti gli analisti americani, a partire dal generale David Petraeus, avvertono –invano- che “AfPak”, l’indissolubile legame che lega Afghanistan e Pakistan, è l’emergenza più immediata e urgente. Pure, senza l’aiuto americano nell’ordine dei due miliardi di dollari, il regime di Zardari crollerebbe rapidamente. Ma Obama, che pure ha a disposizione potenti strumenti di pressione non ha piani né progetti per Pakistan (che per di più ha un grande arsenale atomico), non li ha elaborati. Progetta solo l’invio di più truppe Usa in Afghanistan, ma non dispiega strategie politiche di attacco e contenimento dei terroristi, che fiancheggino le iniziative militari (storica pecca, questa, di tutti presidenti democratici, checché se ne pensi). Resta, insomma, ancorato allo schema propagandistico di una campagna elettorale basata sulle virtù salvifiche dell’incremento dei soldati e del “dialogo” e all’errore fatto quando, da senatore, ha votato contro il Surge che invece Petraeus e George W. Bush ha vinto contro i terroristi in Iraq.
La strategia di Petraeus ...continua

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