La faccia del derby è la stessa dell'andata. La faccia del derby è quella da cavaliere triste, da protagonista di un racconto di Soriano, di Diego Milito. L'eroe, il padrone del derby, dei derby. Il Genoa in Paradiso. La faccia del derby, stavolta, ma solo per una fetta di partita, è anche quella di Hugo Campagnaro, la mascella alla Bruce Willis, quello che la Sud invoca come un'onda verbale ogni volta che conquista palla: "Hugo, Hugo, Hugo". Ma non basta: un'illusione.
Diego e Hugo, facce d'Argentina. Il Genoa accarezza un sogno, lo insegue, teme di vederlo sfumare. Lo vive fino in fondo, lo fa diventare realtà. Si prende la seconda sfida cittadina della stagione. Resta dove voleva: a contatto, un passo dietro la Fiorentina. Il suo derby è una dichiarazione d'orgoglio e di rinnovate ambizioni. La Sampdoria accarezza solo per metà partita la rivincita dell'orgoglio sulla strada che porta alla finale di Coppa a Roma.
All'andata era stato un derby gelido e spigoloso, un derby scarno e combattuto, non bello, che, alla fine, aveva schiaffeggiato la Sampdoria come la tramontana che colpiva i volti. Questo è un altro derby. Più maturo, più spregiudicato, più derby, anche se lo spettacolo, in queste sfide, è merce rara. Lo capisci subito: caldo e bollente. Le facce del prima sono quelle di Enrico Preziosi che si fa incontro a Riccardo Garrone, entrambi abbronzatissimi, seduti vicini in tribuna. Sono quelle di Cassano che abbraccia tutti, i compagni ma anche gli avversari. Sono quelle dei figlioletti Leandro e Sofia in braccio a Diego Milito e Thiago Motta. E' un derby che sa di primavera e di cuori caldi, di duelli roventi.
Lo dicono i numeri, lo dicono le situazioni che questo è un derby da giocare per vincere, senza paura. Lo vuole il Genoa per non perdere un metro nella corsa Champions, dopo che la Fiorentina, nel pomeriggio, si è portata a casa tre punti contro il Torino fra molte polemiche. Lo insegue la Sampdoria per far capire a tutti che, senza gli infortuni che l'hanno perseguitata all'inizio e con un Pazzini in più, la sua strada sarebbe stata molto diversa. E lo vuole, la Samp, per far capire a se stessa che quando insegue una cosa, riesce a prendersela. Come la finale di Coppa nella battaglia di San Siro contro l'Inter, come - spera - la Coppa Italia fra dieci giorni a Roma.
Eccoli i motivi che alimentano questo derby. E lo fanno bollente e furioso, entusiasmante e spietato. C'erano una volta i derby delle coreografie. Poi vennero quelli dell'austerità: i colori e basta. Stavolta è di nuovo un derby da vedere durante ma anche prima.
Le facce, prima hanno disegnati sopra sorrisi che significano fiducia, ma lasciano trasparire la tensione. La Samp parte forte. Passano 16'24" prima che Morganti debba estrarre il cartellino dopo un contrasto duro di Criscito su Cassano. Sarà il primo di una lunga serie.
Si gioca, ed è derby che finisce fuori equilibrio quando Milito colpisce: Campagnaro sbaglia, il Principe non perdona. E sono diciassette, alla fine diciannove, i suoi centri in campionato. E sarà una ferita - chissà quanti genoani lo pensano, chissà quanti fanno gli scongiuri - fare a meno di lui se arriverà un'offerta a cui non si potrà dire no. La Sampdoria accusa il colpo, potrebbe subire quello del ko, poi Cassano riprende a essere fulcro e calamita, faro del gioco. E in posizione che per i genoani non è dubbia ma fuorigioco certo, Hugo colpisce e pulisce la lavagna degli errori con una passata di spugna. Provano a vincerlo tutte e due nel secondo tempo. Ma ci riesce uno soltanto: il Genoa. Ancora con Diego Milito, il Principe di Baires. Che segna il secondo gol anche lui con l’ombra del fuorigioco. Che segna il terzo, ed è trionfo, dopo un micidiale contropiede finale. Samp schiaffeggiata come nella notte di dicembre. Grifone in volo.
Lo avevano detto tutti alla vigilia: è un derby che vale molto di più per il Genoa. Tre punti pesantissimi per la classifica. Perderlo avrebbe avuto il senso non di una resa ma di un ingranaggio inceppato nel meccanismo quasi perfetto della squadra rivelazione, di quella che, a lungo, ha tenuto stretto l'alloro della più bella del campionato. Anche pareggiarlo sarebbe stato un danno difficile da riparare.
Invece, la Banda Gasperini non molla. Resta lì ad alitare sul collo della Viola di Prandelli. E il calendario (Atalanta e Torino in trasferta, Chievo e Lecce a Marassi), forse, è meno peggio di quello dell'antagonista. La Sampdoria rimane a mani vuote e sarà un boccone duro da mandare giù. Psicologicamente. Perché non è vero che la Banda Mazzarri aveva poco in gioco: aveva un gap di classifica che poteva mettere in discussione, aveva la partita dell'anno da preparare con il morale alle stelle.
Il resto è un finale furioso, tre espulsi (Ferrari, Campagnaro, Motta), un accenno di rissa in campo. Poi quel gol. Che fa cantare a ventimila genoani l'inno a una voce sola, che arrossa gli occhi dei sampdoriani.
Diego e Hugo, facce d'Argentina. Il Genoa accarezza un sogno, lo insegue, teme di vederlo sfumare. Lo vive fino in fondo, lo fa diventare realtà. Si prende la seconda sfida cittadina della stagione. Resta dove voleva: a contatto, un passo dietro la Fiorentina. Il suo derby è una dichiarazione d'orgoglio e di rinnovate ambizioni. La Sampdoria accarezza solo per metà partita la rivincita dell'orgoglio sulla strada che porta alla finale di Coppa a Roma.
All'andata era stato un derby gelido e spigoloso, un derby scarno e combattuto, non bello, che, alla fine, aveva schiaffeggiato la Sampdoria come la tramontana che colpiva i volti. Questo è un altro derby. Più maturo, più spregiudicato, più derby, anche se lo spettacolo, in queste sfide, è merce rara. Lo capisci subito: caldo e bollente. Le facce del prima sono quelle di Enrico Preziosi che si fa incontro a Riccardo Garrone, entrambi abbronzatissimi, seduti vicini in tribuna. Sono quelle di Cassano che abbraccia tutti, i compagni ma anche gli avversari. Sono quelle dei figlioletti Leandro e Sofia in braccio a Diego Milito e Thiago Motta. E' un derby che sa di primavera e di cuori caldi, di duelli roventi.
Lo dicono i numeri, lo dicono le situazioni che questo è un derby da giocare per vincere, senza paura. Lo vuole il Genoa per non perdere un metro nella corsa Champions, dopo che la Fiorentina, nel pomeriggio, si è portata a casa tre punti contro il Torino fra molte polemiche. Lo insegue la Sampdoria per far capire a tutti che, senza gli infortuni che l'hanno perseguitata all'inizio e con un Pazzini in più, la sua strada sarebbe stata molto diversa. E lo vuole, la Samp, per far capire a se stessa che quando insegue una cosa, riesce a prendersela. Come la finale di Coppa nella battaglia di San Siro contro l'Inter, come - spera - la Coppa Italia fra dieci giorni a Roma.
Eccoli i motivi che alimentano questo derby. E lo fanno bollente e furioso, entusiasmante e spietato. C'erano una volta i derby delle coreografie. Poi vennero quelli dell'austerità: i colori e basta. Stavolta è di nuovo un derby da vedere durante ma anche prima.
Le facce, prima hanno disegnati sopra sorrisi che significano fiducia, ma lasciano trasparire la tensione. La Samp parte forte. Passano 16'24" prima che Morganti debba estrarre il cartellino dopo un contrasto duro di Criscito su Cassano. Sarà il primo di una lunga serie.
Si gioca, ed è derby che finisce fuori equilibrio quando Milito colpisce: Campagnaro sbaglia, il Principe non perdona. E sono diciassette, alla fine diciannove, i suoi centri in campionato. E sarà una ferita - chissà quanti genoani lo pensano, chissà quanti fanno gli scongiuri - fare a meno di lui se arriverà un'offerta a cui non si potrà dire no. La Sampdoria accusa il colpo, potrebbe subire quello del ko, poi Cassano riprende a essere fulcro e calamita, faro del gioco. E in posizione che per i genoani non è dubbia ma fuorigioco certo, Hugo colpisce e pulisce la lavagna degli errori con una passata di spugna. Provano a vincerlo tutte e due nel secondo tempo. Ma ci riesce uno soltanto: il Genoa. Ancora con Diego Milito, il Principe di Baires. Che segna il secondo gol anche lui con l’ombra del fuorigioco. Che segna il terzo, ed è trionfo, dopo un micidiale contropiede finale. Samp schiaffeggiata come nella notte di dicembre. Grifone in volo.
Lo avevano detto tutti alla vigilia: è un derby che vale molto di più per il Genoa. Tre punti pesantissimi per la classifica. Perderlo avrebbe avuto il senso non di una resa ma di un ingranaggio inceppato nel meccanismo quasi perfetto della squadra rivelazione, di quella che, a lungo, ha tenuto stretto l'alloro della più bella del campionato. Anche pareggiarlo sarebbe stato un danno difficile da riparare.
Invece, la Banda Gasperini non molla. Resta lì ad alitare sul collo della Viola di Prandelli. E il calendario (Atalanta e Torino in trasferta, Chievo e Lecce a Marassi), forse, è meno peggio di quello dell'antagonista. La Sampdoria rimane a mani vuote e sarà un boccone duro da mandare giù. Psicologicamente. Perché non è vero che la Banda Mazzarri aveva poco in gioco: aveva un gap di classifica che poteva mettere in discussione, aveva la partita dell'anno da preparare con il morale alle stelle.
Il resto è un finale furioso, tre espulsi (Ferrari, Campagnaro, Motta), un accenno di rissa in campo. Poi quel gol. Che fa cantare a ventimila genoani l'inno a una voce sola, che arrossa gli occhi dei sampdoriani.
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