Un razzo, sparato da Gaza, ha ucciso un contadino israeliano nel kibbutz di Netiv Hassera, dopo che i due razzi lanciati nella notte non hanno fatto vittime. Non è questa la prima vittima israeliana di questo feroce tipo di terrorismo praticato dai palestinesi di Gaza, ma della decima, mentre gli israeliani feriti nella zona di Ashkelon e Sderot, sono stati centinaia. La novità è che si tratta della prima vittima israeliana dopo l’operazione “piombo Fuso”, l’invasione di Gaza da parte di Israele a cavallo tra 2008 e 2009 che (nonostante le ipocrite proteste internazionali) ha conseguito i suoi obbiettivi, e infatti da allora Hamas ha cessato i suoi lanci di razzi (così come è dimostrato che il Muro voluto da Sharon ha bloccato i kamikaze palestinesi e salvato decine di vite umane). Ma i razzi da Gaza di ieri non sono stati lanciati da Hamas, bensì da Ansar al Sunna, legato ad al Qaida, che ha deciso di affiancare l’irresponsabile decisione di Hamas di tentare di innescare una “terza intifada”, prendendo a pretesto non già gli insediamenti israeliani (come riporta, con strafalcione voluto e strumentale, la stampa mondiale), ma motivi biecamente religiosi, così enucleati nella rivendicazione dei terroristi:
“Questo è un attacco della Jihad in risposta all’aggressione dei sionisti contro la moschea di Al-Aqsa, la città Santa e la nostra popolazione di Gerusalemme”. Dunque, la strategia di Hamas fa presa su due versanti, su quello terroristico, come su quello “moderato”, perché non contesta affatto i nuovi insediamenti, ma quelli vecchi, tutti quelli vecchi; Hamas considera infatti città, case e Stato degli ebrei in Israele una “offesa all’Islam” e ha il progetto strategico –assieme ad Ahmadinejad- di “cancellare Israele dalla terra di Palestina”. Questo dato politico –ipocritamente occultato dalla stampa mondiale- emerge dalla motivazione vera –non quella riportata dai nostri media relativa ai nuovi insediamenti- che Hamas ha dato alla sua “Giornata della Rabbia di tre giorni fa: “l’insulto portato all’Islam dal restauro della sinagoga di Hurva, a poche centinaia di metri in linea d’aria dalla Spianata del Tempio”. “Insulto”, purtroppo, condiviso dal leader dell’Islam politico moderato, Eklemeddin Ihsanoglu, segretario dell’Oci (che rappresenta i 55 stati islamici) che ha protestato contro questo restauro, minacciando una “guerra di religione”, sostenendo che la sinagoga sorge su un Waqf, possedimento islamico (ma è esattamente al centro del millenario quartiere ebraico di Gerusalemme). Usare il termine Waqf, sta a significare che anche gli islamici “moderati”, condividono la tesi di Hamas che vuole che Gerusalemme e tutta la Palestina siano un “lascito eterno (il senso della parola è “possedimento”) di Allah ai popoli dell’Islam, di cui nessun governo può disporre”. Poco importa che la sinagoga Hurva sia stata costruita sotto governo islamico ottomano nel 1700, poco importa che lo stesso governo islamico ottomano ne abbia autorizzato la ricostruzione nel 1856 (la sinagoga fu poi distrutta nel corso della guerra del 1948). Il punto è che la motivazione religiosa chiude in un cerchio raccapricciante sia il tentativo di terza Intifada che il razzo che ha ucciso il contadino israeliano: tutta Israele è abusiva. Per questo predominante carattere religioso del conflitto, il politico laico Abu Mazen è così debole e così poco rappresentativo. Per questo rifiuto islamico, anche “moderato” della sua stessa esistenza, Israele è obbligato a imbracciare sempre le armi senza sicura.
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