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giovedì 20 maggio 2010

NULLA FU GIUSTO

«Al momento non c'è nessun organo della giustizia sportiva al lavoro per l'esposto della Juventus sulla revoca dello scudetto del 2006 finito dopo Calciopoli nella bacheca dell'Inter».
A chiarirlo è il presidente della FIGC, Giancarlo Abete, nel corso della conferenza stampa svoltasi al termine del Consiglio Federale.
«Come le decisioni prese dal commissario (Guido Rossi, ndr) si basavano su indagini di organi di giustizia sportiva deliberanti - ha spiegato Abete - così, in questo caso, l'iter della Procura deve essere ancora effettuato. È inutile lavorare sui brogliacci o porsi problemi esistenziali sulle voci delle singole intercettazioni. Bisogna aspettare i risultati conclusivi della perizia del tribunale di Napoli, che ha dato tempo 60 giorni (a partire dal 18 maggio ndr), e lasciare che si completi l'iter della giustizia ordinaria».
Il presidente della Federcalcio ha riconosciuto di comprendere il dibattito sugli organi di stampa, «...ma è meno comprensibile che ci sia intorno alla Federcalcio un'aspettativa prima che si completi il lavoro degli organi competenti ad accertare la verità. Non sarebbe giusto».
A leggere quanto sopra esposto da Abete non si può che essere in linea su quanto dice; va preservato l'accertamento della verità.
Ma la domanda è: come mai solo adesso?
Perché solo oggi si dichiara che è inutile lavorare sui brogliacci? Perché solo oggi ci si sdegna a porsi problemi esistenziali sulle voci delle singole intercettazioni? E sopratutto, perché solo oggi le aspettative sulle decisioni da prendere in merito sono meno comprensibili di un tempo?

Il processo su Calciopoli si basò in via esclusiva sulle intercettazioni, anche se l’art.270 del Codice di Procedura Penale prevedeva che "i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza".
L’art.37 comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva imponeva tre gradi di giudizio: "il giudizio per illecito sportivo e per violazioni in materia gestionale ed economica è di competenza delle Commissioni disciplinari in prima istanza e della C.A.F. in seconda ed ultima istanza. Nel caso di più incolpati, appartenenti a Comitati diversi, la competenza territoriale è determinata dal luogo ove è stato commesso l'illecito".
Rispettando i dettami del codice, l’iter di giudizio sarebbe dovuto iniziare con la Disciplinare ma Guido Rossi decise arbitrariamente di eliminare questo passaggio.
L’art.37 comma 6 del CGS prevedeva che "il dibattimento si svolge in contraddittorio tra la Procura Federale e le parti, che possono stare in giudizio con il ministero e l’assistenza di un difensore. Al termine del dibattimento il rappresentante della Procura Federale formula le proprie richieste. La difesa ed i soggetti deferiti hanno il diritto di intervenire per ultimi."
Ma il procuratore Palazzi pronunciò la sua requisitoria prima ancora dell’inizio del dibattimento, violando palesemente l’articolo citato.
Il processo della Caf durò cinque giorni, quello della Corte Federale soltanto quattro. Tra discussione di eccezioni, formalità burocratiche e presentazioni, alle difese rimase poco tempo per produrre le proprie memorie. In considerazione della mole di intercettazioni, delle persone coinvolte e dei numerosi capi di incolpazione, il tempo processuale avrebbe dovuto raddoppiarsi anziché ridursi.
E il ruolo dei media, quelli che oggi vengono compresi ma bacchettati perché prima c'è il bisogno che si completi il lavoro degli organi competenti ad accertare la verità?
Quella strana "fuga di notizie" centellinata con il procedere dei giorni, fu la chiave di volta: creare l'opinione pubblica forcaiola che poi sarebbe stata accontentata, celermente e senza aspettare l'eventuale verità: “...nella valutazione del materiale probatorio la Commissione (la Caf, ndr) si limiterà ad indicare quegli elementi di sicura valenza, che non si prestano ad interpretazioni equivoche, perché già solo dall’analisi di taluni fatti incontrovertibili emerge a chiare lettere ciò che era nella opinione di tutti coloro che gravitavano nel mondo del calcio, e cioè il condizionamento del settore arbitrale da parte della dirigenza della Juventus” ; pagina 79, Sentenza di Primo Grado (Presidente Cesare Ruperto).
Come già detto, ha ragione Abete: nulla fu giusto!

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