Quasi 294 milioni di euro andati in fumo. Questo il "valore dell'energia" che si ritrovano oggi in tasca i 78.759 risparmiatori che nel maggio del 2006 investirono complessivamente 414 milioni di euro sulla Saras. Ovvero la società di raffinazione petrolifera della famiglia Moratti che si apprestava ad andare in Borsa all'insegna, appunto, de "Il valore dell'energia".
Uno slogan che suona quasi come una beffa, proprio nei giorni, questi, in cui si sono chiuse le indagini della Procura di Milano sul sospetto che lo sbarco in Borsa della raffineria sarda sia avvenuto a un prezzo gonfiato: 6 euro per azione, un valore che il titolo Saras in quattro anni, non tutti di crisi, non ha mai più visto (1,74 euro la chiusura in Borsa di venerdì, il 71 per cento in meno della quotazione).Nel mirino dei pm, per ora, sono finiti i nove banchieri provenienti dai tre istituti che curarono la quotazione che portò nelle tasche dei Moratti 1,71 miliardi di euro e in quelle delle loro banche (Morgan Stanley, Jp Morgan e Caboto-Intesa) quasi 40 milioni di euro in commissioni. L'indagine è stata aperta per il sospetto di falso in prospetto informativo (il documento illustrativo della società) e aggiotaggio.
L'indagine per ora non ha toccato l'illustre famiglia milanese, i cui esponenti nei giorni scorsi si sono giustificati con l'ignoranza delle leggi della Borsa.
È indubbio, però, che l'inchiesta rappresenta una bomba a orologeria per il sindaco del capoluogo lombardo, Letizia Moratti, che si trova alla vigilia della scadenza del mandato e che un paio di mesi prima dello sbarco in Borsa della Saras si trovava in piena campagna elettorale, ricevendo dal marito Gianmarco un sostanzioso contributo di 1,2 milioni di euro.
Intoccata anche la Consob di Lamberto Cardia, organo deputato a vigilare proprio sui reati ipotizzati dai pm. Nei prossimi giorni sapremo se alla conclusione delle indagini seguirà il rinvio a giudizio o l'archiviazione.
Poche, quindi, per il momento, le certezze. Tra queste, oltre al disastro economico che l'operazione ha comportato, il fatto che dalla stampa finanziaria, nelle settimane precedenti la quotazione si levarono ben poche voci di allarme.
Scorrendo le cronache specializzate dell'epoca, spiccano infatti titoli e affermazioni come "Saras, cresce l'interesse sull'Ipo" (Sole 24 Ore) ; "Moratti: in Borsa per restare primi della classe" (Sole 24 Ore); "Saras sta già scalando l'S&P/Mib" o "Fondi esteri innamorati della Saras" (Finanza & Mercati). E ancora: "Saras replicherà il 2005 con i profitti gonfiati dal barile". Era solo marzo, dovevano avere una palla di vetro miracolosa per sbilanciarsi tanto. Ad aprile i toni salgono: "Al via l'Ipo di Saras. Solo il 20 per cento al retail". Come dire: risparmiatori, affrettatevi, perché vi hanno lasciato le briciole, perché il retail sono i piccoli investitori.
Peccato che una quota del 20 per cento da destinare a risparmiatori e dipendenti sia considerata molto elevata, la media per i marchi poco noti al grande pubblico è del 10 per cento. E ancora, "I Moratti mettono a disposizione del mercato fino al 40 per cento del capitale" (Mf Milano Finanza). Figurarsi se ne avessero messo di più. Due settimane dopo: "La big petrolifera. Per chi vuole investire in un'ottica di medio- lungo periodo e con una presenza e una fama consolidata a livello mondiale, una scelta può essere la Saras della famiglia Moratti ". Forse sarebbe stato più appropriato parlare di ottica di lunghissimo periodo.
Non si contano poi le innumerevoli allusioni alla tempistica perfetta, visto che nell'aprile 2006 il petrolio viveva uno dei suoi momenti più felici, salvo poi sgonfiarsi proprio alla vigilia della quotazione della Saras, anche se alla ripresa del greggio non è seguita la risalita del titolo.
"In questa congiuntura è facile immaginare un esito positivo per i prossimi debutti del settore a Piazza Affari: la
Saras della famiglia Moratti...", si legge per esempio su uno dei quattro quotidiani della City milanese. Salvo poi correggere all'indomani dell'esordio flop, quando il titolo precipitò dell'11 per cento per "colpa della debolezza del mercato e del calo del greggio". Insomma, pochi, pochissimi i dubbi e gli altolà.
Come una notazione nascosta nel fondo di un articolo dove si segnala in due parole che le banche autrici del prospetto avevano rapporti d'affari ben stretti con l'azienda. Oppure un editoriale ex post dove si accenna a dubbi dei gestori sul prezzo, dei quali però prima del flop non si trova traccia evidente o evidenziata. Tra i pochi dissensi, c'è il commento di un editore, Paolo Panerai di Class, che lamenta la scarsa trasparenza dei Moratti che all'epoca scelsero di pubblicare il prospetto sui giornali solo in forma sintetica, per rimandare la consultazione integrale Internet.
E qui si tocca un nodo cruciale, perché la quotazione in Borsa di una società è accompagnata dalla pubblicazione a pagamento dell'importante doQcumento. Il prezzo, a seconda delle testate, varia da 50 mila a 150 mila euro. E, sintetico o meno, la Saras lo pubblicò su tutti giornali economico-finanziari del Paese. Non solo.
La raffineria dei Moratti operò una scelta piuttosto insolita per un'azienda che non vende beni di largo consumo e che quindi sono conosciuti dai consumatori/investitori: decise di accompagnare la quotazione con una maxi campagna pubblicitaria corporate , cioè che pubblicizza l'azienda e non i prodotti, che all'ultimo momento venne anticipata rispetto alla pianificazione iniziale. E che, ovviamente, finì abbondantemente sulle pagine di tutti i quotidiani e i periodici finanziari, gli stessi che in quei giorni dovevano raccontare ai lettori e se e quanto conveniva investire in quei titoli. Le spese complessive della quotazione per la società ammontarono a 12 milioni di euro. Più le commissioni. Quindi, per i giornali finanziari, la quotazione di Saras è stato un affare. Solo per loro, però.
Giovanna Lantini per "Il Fatto Quotidiano"
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