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sabato 26 giugno 2010

QUANDO IL CASO SI RIAPRE

Due procuratori aggiunti, due dei magistrati che in questo momento guidano la procura di Milano: Alfredo Robledo, capo del pool che si occupa di reati contro la pubblica amministrazione, e il suo collega Edmondo Bruti Liberati, in procinto di insediarsi sulla poltrona di capo della Procura. È nelle loro mani la sorte dell’inchiesta-bis sul caso dei dossier illegali di Pirelli e di Telecom, aperta nei giorni scorsi. Con la sentenza che ha condannato - ma solo per una parte - delle accuse - l’ex capo della security Giuliano Tavaroli e gli altri imputati, il giudice preliminare Mariolina Panasiti ha rimandato tutti gli atti alla Procura perché torni a indagare. Nel mirino del giudice, i piani alti di Telecom all’epoca dei fatti: a partire da Marco Tronchetti Provera, allora presidente della compagnia telefonica e tuttora numero uno di Pirelli. Nelle motivazioni depositate, la Panasiti scrive senza mezzi termini che Tronchetti sapeva tutto. E che era nel suo interesse che agiva la struttura guidata da Tavaroli.
La Procura sembra non voler perdere tempo. Alfredo Robledo va a fare visita ad un altro giudice che si è occupato della vicenda: Giuseppe Gennari, il gip che aveva spedito in galera Tavaroli, anche lui sostenitore della corresponsabilità di Tronchetti. Poi, insieme, Robledo e Bruti Liberati vanno a infilarsi nella stanza della Panasiti. Vogliono capire cosa sta scritto, esattamente, nelle 323 pagine delle motivazioni. E la lettura di quelle motivazioni non lascia molte vie d’uscita: bisogna riaprire il caso Telecom. Bisogna tornare a indagare su quanto accadde tra il 1997 e il 2004 in una delle aziende più delicate del paese: e, stavolta, senza fermarsi ai piani intermedi. Il nuovo fascicolo di inchiesta è già aperto.
Non si sa se il fascicolo sia, per ora, a carico di ignoti, o se invece Tronchetti e il suo numero 2, Carlo Buora, siano già finiti nel registro degli indagati. Formalmente, titolari dell’inchiesta sono gli stessi pubblici ministeri, Stefano Civardi e Nicola Piacente, che hanno gestito la prima puntata, usciti malconci dall’udienza preliminare che ha ribaltato il loro teorema secondo cui Tavaroli e gli altri erano solo una «scheggia impazzita». Sollevare dall’incarico Civardi e Piacente sarebbe suonata come una sconfessione troppo brutale. Ma il fatto che ieri a muoversi siano i due capi della Procura dice - in modo sufficientemente esplicito - che ora il pallino dell’indagine viene preso in mano direttamente dai vertici dell’ufficio. Saranno ora Bruti Liberati e Robledo a decidere se, quando e per quali reati indagare a carico di Tronchetti. Sulle responsabilità dell’ex presidente di Telecom, il giudice Panasiti nella sua ordinanza sembra avere le idee chiare: «Essendo emerso, in maniera del tutto univoca, che le richieste di acquisizione di informazioni e di intrusione informatica erano attività strettamente pertinenti a scelte aziendali, nelle due aziende pienamente condivise e conosciute, idonee a soddisfare e a corrispondere a specifici interessi delle due società e del gruppo dirigente, che in quegli anni era rappresentato dalle medesime persone, nella specie il Presidente Marco Tronchetti Provera e l'amministratore delegato Carlo Buora». Ovvero: le attività di spionaggio e dossieraggio dei Tavaroli-boys «erano ampiamente previste, programmate e accettate dalle aziende medesime». Tronchetti ha sempre detto - recentemente, in un’intervista al Giornale - di non essere a conoscenza dei metodi usati dalla security.

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