I don't belive! Non potrei cominciare diversamente dopo aver visto l'Arsenal più bello della stagione dominare in lungo e in largo un Tottenham che è rientrato negli spogliatoi, tra il primo ed il secondo tempo, completamente stordito dallo strapotere dei Gunners. Dopo pochi attimi avevo ben chiaro il pomeriggio che mi sarei trovato davanti: una squadra concentrata e cattiva che si è impossessata del centrocampo e ha cominciato a fare quel che voleva contro l'avversario di turno. Straordinario Fabregas, autore di una gara da incorniciare, geniale Nasri, autore dell'ennesimo colpo da biliardo che aveva portato in vantaggio l'Arsenal, encomiabile Chamakh, ancora in gol e capace di giocare con la spada e con il fioretto, da clonare Alex Song, in certi momenti della gara ci si domandava quanti ce n'erano in campo.
Badare bene: la ripresa era iniziata tale e quale al fischio d'avvio. Concentrazione e cattiveria erano le armi ancora a disposizione della banda di Wenger e per poco non ci scappava subito il colpo che avrebbe definitivamente chiuso ogni discorso. In quel preciso momento è iniziato quel che non ti aspetti, quel che il destino disegna a tua insaputa e che, cinicamente, ti mette davanti. Un capolavoro di Gareth Bale (tirare giù in quel modo la sfera l'ho visto fare a pochi eletti) aveva riacceso un match che nell'arco di qualche minuto era stato nuovamente spento dalla voglia e dalla superiorità di Fabregas e compagni. Per nulla turbati, i Gunners hanno proseguito il football-show, andando a cercare il gol, con trame sempre fluide e la sensazione, da parte di chi guardava, che il terzo gol sarebbe arrivato da li a poco. A venti dalla fine, invece, l'invenzione l'ha fatta Phil Dowd, decretando un calcio di rigore per gli Spurs per un fallo di gomito di Fabregas in barriera; ripeto: fallo di gomito. Il 2-2, dopo più di un'ora giocata in maniera quasi perfetta, assumeva le sembianze di un brutto sogno, di un incubo che si stava materializzando, della beffa per aver subito, con gli unici due tiri in porta (fino a quel momento) della partita, il pareggio.
Difficilmente ho visto Arséne Wenger accucciato a bordo campo strappare con rabbia l'erba davanti alle panchine, una sorta di sofferenza fisica che era lo specchio di quanto stava accadendo all'Emirates Stadium. Il cinismo del destino, dopo un'occasionissima sventata da Gomez su tiro di Fabregas (per la cronaca dopo il pareggio di Rafael van der Vaart, i Gunners hanno creato ancora occasioni da rete e una continua pericolosità nei pressi dell'area di rigore degli Spurs), è giunto puntuale, posandosi sulla testa di Younes Kaboul, che ha girato alle spalle di Fabianski il pallone del definitivo 2-3, a tre minuti dallo scadere.
La sofferenza, a questo punto e non solo per Wenger, è diventata anche mentale, quasi isterica. Si può perdere, ci mancherebbe, soprattutto quando in palio, oltre ai punti, c'è l'orgoglio stracittadino da difendere, una storia che oggi ha raccontato la 164à sfida tra Gunners e Spurs; ma non così. Non dopo aver dominato l'avversario, non dopo aver subito tre tiri in porta tre (3) in tutta la partita, non dopo essere andati in vantaggio di due gol e aver più volte rischiato di far diventare il pomeriggio londinese una coda di una qualsiasi partita giocata quest'estate a Wimbledon. Il triplice fischio finale ha messo fine all'incubo, ha fatto scuotere più volte la testa a Fabregas, ha fatto entrare velocemente negli spogliatoi Wenger, ha fatto esclamare ad ogni singolo tifoso dell'Arsenal: I don't belive.
Difficilmente ho visto Arséne Wenger accucciato a bordo campo strappare con rabbia l'erba davanti alle panchine, una sorta di sofferenza fisica che era lo specchio di quanto stava accadendo all'Emirates Stadium. Il cinismo del destino, dopo un'occasionissima sventata da Gomez su tiro di Fabregas (per la cronaca dopo il pareggio di Rafael van der Vaart, i Gunners hanno creato ancora occasioni da rete e una continua pericolosità nei pressi dell'area di rigore degli Spurs), è giunto puntuale, posandosi sulla testa di Younes Kaboul, che ha girato alle spalle di Fabianski il pallone del definitivo 2-3, a tre minuti dallo scadere.
La sofferenza, a questo punto e non solo per Wenger, è diventata anche mentale, quasi isterica. Si può perdere, ci mancherebbe, soprattutto quando in palio, oltre ai punti, c'è l'orgoglio stracittadino da difendere, una storia che oggi ha raccontato la 164à sfida tra Gunners e Spurs; ma non così. Non dopo aver dominato l'avversario, non dopo aver subito tre tiri in porta tre (3) in tutta la partita, non dopo essere andati in vantaggio di due gol e aver più volte rischiato di far diventare il pomeriggio londinese una coda di una qualsiasi partita giocata quest'estate a Wimbledon. Il triplice fischio finale ha messo fine all'incubo, ha fatto scuotere più volte la testa a Fabregas, ha fatto entrare velocemente negli spogliatoi Wenger, ha fatto esclamare ad ogni singolo tifoso dell'Arsenal: I don't belive.
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