..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

mercoledì 15 dicembre 2010

LORO, I DISCRIMINATI

Alcuni dati, perché diversamente non si potrebbe iniziare: 1) in due anni sono stati espulsi dal lavoro più di un milione di italiani; 2) lo stesso numero, trattabile tranquillamente in eccesso, non trova lavoro, e la discesa del prodotto interno lordo deve ancora cominciare; 3) il reddito medio annuo degli italiani è di circa 20 mila euro; 4) in vaste aree del Paese questa cifra ha tendenza a scendere, e non di poco.
Eppure c'è chi ha proclamato e manifestato il volere di scioperare, trattando il proprio contratto, pensando, come giusto che sia, alla propria categoria, ma dimenticando il senso della misura.
L'argomento, a questo punto, è chiaro: lo sciopero calciatori.
"Si va verso la revoca dello sciopero". Aveva annunciato il presidente dell'Associazione italiana calciatori, Sergio Campana, al termine dell'incontro in Federcalcio con il presidente della Figc, Giancarlo Abete, e i rappresentanti della Lega di A. "L'accordo sui sei punti c'è, - spiegava Campana - sui fuori rosa c'è una riserva da parte della Lega. Non possiamo annunciare ufficialmente la revoca dello sciopero, anche se abbiamo fatto grossi passi avanti. C'è ottimismo. Sentiremo i calciatori e credo ci siano buone possibilità per raggiungere l'accordo".
Alla fine lo sciopero non si è fatto, tutti sono scesi in campo. Il perché non mi interessa, i particolari dettagliati nemmeno, né quelli di Maurizio Beretta né tanto meno quelli di Campana, perché un punto, questo si non un dettaglio, mi preme evidenziare: l'idea stessa è stata l'amara diapositiva dei tempi in cui viviamo, dove il senso della misura ha perso l'orientamento e gli schiaffi arrivano sonori.

In questo periodo, è evidente, si è persa di vista l’Italia, smarrendo il senso profondo delle cose, quello che tutte le collega in una diversa scala di valori e proporzioni; in questo il calcio assume una parte da protagonista.
Basti pensare alle tante anomalie che nei decenni hanno caratterizzato il calcio nella sua dimensione societaria, e che gravano ancora sulla sostenibilità di moltissimi club, per via delle debolezze del loro conto economico consolidato, dell’aver chiuso un occhio a criteri di redazione dei bilanci patrimoniali fuori dal codice civile, dell’aver consentito quotazioni in Borsa in assenza di asset materiali.
Il grottesco di tutta questa demenziale storia è l'aver accostato la situazione del professionista del pallone al licenziato da uno stabilimento, a come se la passano ogni giorno milioni e milioni di cittadini e lavoratori italiani a differenza di chi è diventato miliardario.
Sarebbe semplicemente bastato tener conto di tutto questo, trovando, con saggezza, un altro modo di protesta.
Invece si batte ancora il ferro con un mandato stringente ad Abete nel definire con chiarezza un'eventuale configurazione discriminante dell'attuale formulazione, dimenticando che cos'è l’Italia di oggi coi suoi problemi gravi, rispetto ai loro.

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