L’analisi più interessante sulla situazione afghana è quella del settantenne Bing West, il leggendario ex ufficiale dei marines ed ex vice segretario al Pentagono negli anni di Reagan che col tempo è diventato uno dei migliori reporter di guerra e tra i più lucidi analisti militari degli Stati Uniti. Negli anni scorsi, West ha scritto No True Glory, la formidabile e cruenta storia della presa di Falluja, e The strongest tribe, la cronaca del successo in Iraq ottenuto grazie alla decisione delle tribù sunnite di schierarsi con "la tribù più forte", ovvero con gli americani. Il nuovo libro di West, appena uscito in America, dice già tutto fin dal titolo The wrong war, la guerra sbagliata. Scritto da uno come West, e non da un pacifista, il giudizio è di quelli che pesano.
Gli Stati Uniti, scrive West, hanno invaso l’Afghanistan per distruggere la rete terroristica di al-Qaeda e abbattere il regime talebano. Gli uomini di bin Laden e i talebani si sono rifugiati in Pakistan, ma anziché andare a prenderli oltre confine, l’America ha deciso di rimanere a Kabul e di impegnarsi a costruire una nazione democratica capace di prevenire il ritorno di estremisti e terroristi. Sono stati compiuti molti passi avanti, ma lasciare l’Afghanistan non è ancora possibile. Oggi la strategia militare consiste nel garantire sicurezza e servizi alla popolazione afghana in cambio dell’impegno a schierarsi con la "tribù più forte", in nome della nuova religione della counterinsurgency che prevede la protezione della popolazione locale, più che l’uccisione dei nemici. La dottrina anti-insurrezionale, codificata nel manuale dell’esercito e dei marines scritto da Petraeus e Nagl, impone ai soldati americani di essere operatori civili, non solo guerrieri.
Proteggere la popolazione, distribuire denaro, stimolare il patriottismo e sostenere un governo competente sono i compiti di nation building secondo la dottrina Petraeus. Ma la strategia che ha funzionato in Iraq, scrive West, non va bene per l’Afghanistan. Le tribù sunnite si sono schierate con gli americani perché avevano capito che gli americani stavano vincendo, ma le tribù pashtun afghane sono organizzate in modo meno gerarchico rispetto a quelle irachene. Soprattutto, rifiutano di scaricare i talebani e restano neutrali. Il governo centrale di Hamid Karzai, dotato di poteri semi dittatoriali, non ha alcuna intenzione di costruire la democrazia, è inefficace e tollera la corruzione. I dubbi e le esitazioni di Obama non aiutano.
La guerra, sostiene West, si deciderà tra le forze afghane e i talebani, non perché le tribù passeranno con i buoni. L’esercito afghano, però, è impreparato e manca di motivazioni rispetto ai talebani. Le forze internazionali, quindi, non si potranno ritirare perché scatenerebbero una guerra civile che i talebani molto probabilmente vincerebbero. A quel punto tornerebbe al-Qaeda, il Pakistan sarebbe a rischio e l’America subirebbe un colpo letale. L’alternativa suggerita da West è cambiare la missione: neutralizzare il nemico, invece di proteggere la popolazione. Il numero dei soldati andrebbe dimezzato, limitando l’impegno militare all’addestramento dell’esercito afghano e alla partecipazione ai combattimenti al fianco delle forze locali. Le forze speciali, invece, dovrebbero continuare a cacciare i capi islamisti dentro il confine pakistano. Obama e Petraeus non ne sono convinti. Almeno per ora.
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