..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

mercoledì 17 ottobre 2012

SEMPLICEMENTE LED ZEPPELIN

Appena tornato, e non, purtroppo, dalla O2 Arena di Londra (anche se in certi momenti mi sembrava realmente di essere stato lì). Appena tornato da una serata che riconcilia l'anima, che te la ruba, che ti fa vivere attimi che nella vita vale veramente la pena di vivere. Quattro uomini quattro che divorano il palco suonando per due ore il Rock, quello vero, sincero, senza tante cazzate e fronzoli, quella musica che nella sua semplicità ha fatto sognare intere generazioni, Tutto molto spartano, con un frontman (rimasto legato al microfono con il filo), un chitarrista, un bassista ed un batterista, che si fondono in sedici brani dettando un ritmo serrato che non ti lascia mai un momento per respirare.
L'apertura è roba datata, emozionale, un reportage d'epoca che racconta di quel 5 maggio del 1973 quando allo stadio di Tampa, in Florida, i Led Zeppelin infransero il record di incassi e di affluenza a un concerto fino ad allora detenuto dai Beatles, e sotto i diciottomila che presenziarono il 10 dicembre del 2007 a Londra fanno inevitabilmente sentire il loro calore alla Rock Band più grande della musica.
La setlist si apre con la chicca di "Good times bad times", prima canzone del primo album datato gennaio 1969, e l'atmosfera diventa immediatamente calda, ed ogni nota che la chitarra di un meraviglioso Jimmy Page lascia andare all'interno dell'Arena diventa preda di ogni singola emozione dei fans presenti.

E per non farsi mancare niente ecco che il secondo ascolto diventa un'altra chicca, con la performance di uno dei brani mai fatti dal vivo dalla band: "Ramble on". Da quel momento si parte definitivamente verso un viaggio che non troverà mai fine: "The Black Dog" (che al termine del concerto rimane in assoluto la mia performance preferita) viene accompagnata dai cori del pubblico; "In my time of dying" mantiene inalterato quel lamento stridente di 11 minuti incluso nel sesto album Physical Graffiti; "For your life", ancora un grande inedito per i concerti dal vivo. 
Ci si avvicina a metà concerto ed è il momento dei ringraziamenti. E' la volta di "Nobody's fault but mine" e "Trampled under foot" e Robert Plant non esita a ricordare il padre ispiratore dei due brani: Blind Willie Johnson. JohnPaul Jones al basso è un solista ritmico monumentale ed ecco che "No quarter" si trasforma in una meraviglia di atmosfere.
Si va per la parte finale e qui l'emozione prende il sopravvento. Da "Dazed and confused" a "Rock And Roll" il tempo sembra essersi fermato e guardare i tre cerchi di John Bonham tatuati sul braccio di Jason, il dirigibile del primo album sulla cassa della batteria, l'archetto di "Dazed and confused", la Gibson a doppio manico di "Stairway to heaven" e il "graffio" di "Whole lotta love" è qualcosa che mente umana non può spiegare, che un semplice cuore non può capire.
Toccanti gli sguardi finali che i tre mostri sacri della band rivolgono a Jason Bonham, accudito come un figlio e spronato a tenere in piede uno show che solo chi bravo, e per certi versi più tecnico del padre, come lui poteva stupire presenti e non del "Celebration Day".
Finiti i centoventiquattro minuti di un concerto che rimarrà nella storia della musica Rock, rimane molto, tanto, di più. Rimane il perché negli anni Settanta i Led Zeppelin fossero diventati la più grande attrazione dal vivo del rock'n'roll circus, rimane il perché l'acuto stridente di Plant, le smorfie di Page e la sapienza musicale di John Paul Jones hanno segnato per sempre uno stile che ha insegnato musica al mondo. Ma sopratutto rimane perché diciannove milioni e novecentottantadue mila persone hanno cercato in tutti i modi di essere presenti al concerto di coloro che erano e rimarranno per sempre la più grande Rock Band del mondo: i Led Zeppelin.