C'è sempre un motivo quando ci si spinge ad affermare che una competizione calcistica come la Coppa d'Inghilterra riesce a trasformarsi in qualcosa di unico, di meraviglioso.
La conferma, puntuale, è arrivata ieri sera. In diretta dall'Emirates Stadium.
Cinquemila ed oltre appassionati degli Sky Blues hanno invaso Londra, gremendo l'intero primo anello della Clock End. Tutto nella norma, se si guarda la storia.
Highfield Road, quella FA Cup conquistata nel 1987 ai danni degli Spurs, ben 34 stagioni consecutive a competere con i migliori, uno dei Club che inaugurarono nel 1992 la Premier League.
Oggi, però, la storia sta scrivendo altre pagine. La demolizione dopo 106 anni di uno dei più prestigiosi stadi d'Inghilterra, il trasferimento alla Ricoh Arena, la retrocessione in League One, l'attuale amministrazione controllata e soprattutto l'ennesimo trasferimento del campo di gioco, al Sixfields Stadium del Northampton Town FC, per la perdita del contratto di locazione con la società (ACL) che gestisce la Ricoh Arena.
Eppure, nonostante tutto questo e le oltre cinquanta posizioni che separano i ragazzi di Pressley da quelli di Wenger, gli "Sky Blue Army" non hanno voluto per niente al mondo mancare al grande appuntamento, essere presenti e protagonisti sul palco, come la storia li aveva abituati.
Orgogliosi dei propri colori e del proprio passato, hanno raggiunto la "City" con ogni mezzo, invadendo pacificamente il nord di Londra, colorando con sciarpe e maglie l'intera porzione di stadio destinata ai tifosi ospiti.
Un colpo d'occhio che mi ha emozionato, canti e cori che mi hanno fatto sentire orgoglioso di appartenere a questo mondo, al magico ed inconfondibile mondo del football britannico.
Per tutti i novanta minuti, come poi confermato in conferenza stampa dal centrocampista Franck Moussa, hanno spinto i propri idoli a cercare la grande impresa, a provare a misurarsi contro i migliori, a prescindere dal risultato: "All season the fans have been behind us, and they pushed us to the end, no matter the score".
L'ammetto: quando Leon Clarke ha centrato il palo con un preciso tiro di collo destro ho imprecato.
Avrei voluto vedere quella sfera gonfiare la rete. Avrei voluto vedere i ragazzi di Pressley raggiungere i propri tifosi, avrei voluto vedere gli abbracci, le braccia alzate al cielo, i pugni chiusi. Avrei voluto leggere dalle labbra di ogni singolo tifoso la gioia per un goal segnato all'Emirates Stadium, nel quarto turno di FA Cup, contro l'Arsenal Football Club.
Non è successo. Ma questo non toglie l'impegno messo in campo, l'idea di averci comunque provato, un secondo tempo giocato con grande intensità. Senza paura, ma con rispetto.
E' stato lo stesso manager degli Sky Blues, in conferenza stampa, ad elogiare la serata dei suoi ragazzi: "I'm an immensely proud man!".
Orgoglioso e fiero di aver regalato ai propri tifosi una serata speciale, di aver incoraggiato i propri ragazzi a disputare una grande partita: "I asked the players to be brave in possession, aggressive in their passing and stick to our principles and we did that to great effect. We can take huge confidence from tonight's performance".
Ma c'è quel momento, come fermo nel tempo, che mi ha dato veramente i brividi. L'esposizione di migliaia di fogli bianchi con su scritto: "Why?", "When?".
Proprio così. Perché? Perché così tanta passione dev'essere messa da parte da burocrazia e uomini senza scrupoli. Speculatori che calpestano la storia, se ne infischiano di chi da generazioni sente nel cuore battere forte la passione per la propria città, per i propri colori.
E poi ancora. Quando? Quando si potrà tornare nuovamente a giocare nella propria città, a difendere in casa propria il proprio orgoglio, ad esporre fieri una storia nata nel 1883.
In quel preciso momento, come fermo nel tempo, noi "Gooners" non siamo scappati, non abbiamo voltato le spalle, non abbiamo fatto finta di niente. Ci siamo uniti a loro, come si fa nelle gradi famiglie.
Nessuno di loro doveva stare solo, nessuno si doveva sentire emarginato.
L'applauso partito dal sold-out dell'Emirates ha riempito il cuore. Di emozione, di vicinanza, di amore.
Perché consapevoli di cosa significa amare il proprio Club, perché consci che una situazione del genere non dovrebbe aver modo di esistere. Perché una passione, la passione di milioni di tifosi, non si potrà mai comprare, non si potrà mai barattare.
Quando poi le luci dell'impianto londinese hanno iniziato a fare i capricci, sul finire della prima parte di gara, il coinvolgimento è stato totale.
L'ironia anglosassone ha preso il sopravvento. Dagli "Sky Blues Army" è partita l'idea di offrire un po' di luce ai ventidue in campo con l'accensione dei telefonini, i "Gooners" assiepati sulle tribune dell'impianto hanno dato seguito all'iniziativa, offrendo a coloro che assistevano davanti alle televisioni uno show in pieno stile concerto Rock.
Qui è venuta fuori la cultura sportiva che da sempre contraddistingue il football d'oltre Manica: Robert Madley, l'arbitro dell'incontro, ha chiamato a se i due capitani, Mertesacker e Baker, chiedendo al numero 8 del Coventry se c'erano le condizioni per continuare a giocare. La risposta? Ve lo chiedete anche?
"Ref, giochiamo giochiamo, non vede quanta gente è venuta a vederci? Non vorrà mica farli tornare a casa senza aver visto la partita?". Non ho letto il labiale, e anche l'avessi fatto, probabilmente, non sarei riuscito a comprenderlo, ma la pacca sulla spalla data dal nostro Per a Baker m'ha fatto capire che le parole dette dal capitano degli Sky Blues all'arbitro siano state pressapoco quelle.
A fine match il risultato ha detto: Arsenal 4, Coventry 0. Noi qualificati al quinto turno, loro eliminati.
Ma dalla serata dell'Emirates è emersa quella cultura sportiva che mai potrà avere eguali.
Una serata che difficilmente risolverà i "Why?" e i "When?", ma che rimarrà per sempre avvitata all'anima di chi questo sport l'ha amato, lo ama, e lo amerà per sempre.
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