..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

domenica 16 febbraio 2014

RISCRIVIAMO LA STORIA

Torniamo in campo, ad una settimana dalla scoppola subita in quel di Anfield e dal pareggio interno infrasettimanale conquistato contro lo United. Torniamo in campo per andare a disputare il quinto turno di FA Cup, contro il Liverpool.
In questa settimana, su di noi, ne sono state dette e scritte tante. Come se non si fosse aspettato altro per sputare veleno sulla nostra stagione. Una stagione, è bene ricordarlo, fin qui fantastica.
Ma forse è proprio questo il punto. Chi si sarebbe aspettato un campionato dove l'Arsenal avrebbe rotto le uova a chi in estate ha speso più di quel che si poteva permettere?
Chi avrebbe scommesso una sterlina sulla nostra competitività in tutte le competizioni a ci abbiamo preso parte?
Sicuramente non Mourinho, reo, in settimana, di parole "pesanti" nei confronti del nostro mentore.
Ma lo sappiamo tutti. Josè è un "bravo ragazzo". Lui sa come parlare per destabilizzare.
Il problema è che per destabilizzare Wenger, di Mourinho, ne servirebbe una mezza dozzina.
Quando lo specialone avrà trascorso 17 anni in un Club...
Quando lo specialone sarà stato capace di creare due generazioni di vincenti.
Quando lo specialone avrà costruito uno stadio con i soli soldi del bilancio.
Quando lo specialone avrà fatto una campagna acquisti con i soli soldi del bilancio.
Quando lo specialone avrà allestito una rosa vedendosi vendere i migliori per ragioni economiche.
Ecco, allora, e solo allora, ne potremo discutere. Forse.
Stay tuned.
Ma torniamo a quello che più ci interessa.
Come già accennato in settimana stiamo attraversando un periodo di forma approssimativa, e questo, a poche ore dal match e a pochi giorni dalla prima sfida contro i tedeschi del Bayern, non è certo positivo.
Ma abbiamo ancora diversi mesi davanti, un campionato incerto e la possibilità di accedere ai turni successivi delle coppe.
Oggi avremo la prima vera possibilità di mettere un punto esclamativo alla nostra stagione.
Battere i Reds significherà "vendicare" i cinque goal subiti la settimana scorsa ed accedere ai quarti di finale di FA Cup. Un risultato che inietterebbe fiducia, in vista della sfida di Champions e della ripresa della Premier.
Per questa partita, per questa storica partita, ho pensato bene di lasciarvi ad un racconto.
Un racconto tanto emozionante quanto particolare, realizzato per ricordare cosa avvenne quel venerdì pomeriggio di trentacinque anni fa a Liverpool.
Vi auguro buona lettura, con la speranza che questo sia di buon auspicio per il match che tra qualche ora andrà in scena dalle parti di Islington.

QUEL MINUTO CHE FECE LA STORIA
di Giacomo Mallano

A volte mi sono fatto (ovviamente da solo…chi vuoi che mi faccia una domanda simile fra amici e parenti?) a bruciapelo questa domanda: quali sono i tre momenti che ti hanno fatto innamorare del calcio inglese?

Come per una storia d’amore, ricordare i brividi e le emozioni degli inizi è un tributo alla nostalgia che ogni tanto bisogna pagare.
E ogni volta, prima di rispondere, parto per un viaggio nella memoria, fra momenti "vissuti" e altri solo "tramandati" da libri, video, programmi.
La classifica finale risente degli umori del momento, ma la hit che non manca mai è "quel" minuto di Anfield Road, quando l’Arsenal conquistò il titolo all’ultimo respiro dell’ultima partita di campionato, strappandolo dal petto dei Reds che già lo celebravano cullati dalla Kop e dal suo "You’ll never walk alone" da brividi.

Me lo ricordo bene quel dolcissimo pomeriggio di tarda primavera, con la scuola ormai agli sgoccioli e le ore divise fra lunghe maratone di sport in tv e interminabili partite di calcio o tennis.
Quel 26 maggio 1989, però, non c’erano stati svaghi.
Il perché lo capivo solo io, ma fra l’incredulità dei miei amici mi chiamai fuori perché "c’era la partita".
"Ma quale partita?", chiedevano incredulI.
Era venerdì, quindi niente serie A né coppe europee. Alzata di spalle, sorriso di "compassione" e poi via a riprendere il "calcio giocato".
Più o meno la stessa sospettosa diffidenza con cui i miei mi vedevano armeggiare con l’antenna TV per essere sicuro di sintonizzare in maniera decente TMC.

Eppure era dal 1952 che un titolo inglese non si assegnava nello scontro diretto all’ultima giornata (allora l’Arsenal ne prese sei (a uno) dallo United, un precedente non proprio incoraggiante per i Gunners).
Ma la "relatività" l’avrei metabolizzata solo anni dopo, in quel momento la loro indifferenza mi sembrava folle almeno quanto a loro la mia tensione, una tensione che sul piano calcistico trovo peraltro assolutamente giustificata ancora oggi.

Si arrivava da una stagione straordinaria in tutti i sensi.
La mia Inter aveva appena vinto lo "scudetto dei record", un mese prima c’era stato Hillsborough.
Momenti ugualmente indimenticabili, per ragioni opposte, che sembravano trovare la loro composizione nell’ultimo atto che si andava preparando ad Anfield Road.
Tardi, rispetto al calendario inglese, proprio a causa dello stop decretato per onorare le vittime dell’assurda tragedia di Sheffield e cercare di capire ancora una volta come si possa morire per una partita di calcio.

Nel frattempo il Liverpool aveva onorato a modo suo la memoria dei suoi tifosi, vincendo la FA Cup a spese dell’Everton e continuando l’incredibile striscia positiva di 23 partite senza sconfitta (20 vittorie e 3 pareggi) a partire da Capodanno.

Una forma che aveva permesso ai Reds di rimontare ben 14 punti di distacco nel giro di tre mesi e prendersi la testa della classifica.
A questo punto, dopo aver demolito per 5-1 il West Ham nell’ultimo recupero, il Liverpool aveva tre punti di vantaggio sui Gunners ed una migliore differenza-reti.
La squadra di George Graham avrebbe dovuto vincere con almeno due gol di scarto, cosa che nelle ultime quattro stagioni era successa ad Anfield solo una volta (per mano dell’Everton).
Peraltro l’Arsenal era in piena crisi, dopo aver dilapidato un vantaggio che in primavera pareva rassicurante e aver fatto solo un punto nelle ultime due gare casalinghe contro Derby (1-2) e Wimbledon (2-2, e pensare che alla prima giornata i Gunners avevano demolito per 5-1 la Crazy Gang fresca vincitrice della FA Cup).

La stampa non attribuiva alcun credito alle speranze dei londinesi, e per molti il Double sarebbe stato quasi un "risarcimento" alla memoria delle vittime di Hillsborough.
In giro c’era quasi "simpatia" per il Liverpool, un po’ come nel 1953 tutti tifavano Blackpool nella finale di FA Cup, spingendo Matthews verso quella medaglia che pareva inafferrabile.
Provano a pensarla diversamente i Gunners, e O’Leary dichiara: "I miracoli accadono. Una cosa è certa, daremo tutto per rendere loro la vita difficile".
Già, un miracolo calcistico è proprio quello che ci vorrebbe, eppure i precedenti stagionali sarebbero anche incoraggianti.

In Coppa l’Arsenal si è piegato solo al 2° replay, mentre in campionato è finita 1-1.
Nel frattempo però sono cambiate molte cose, e le due squadre hanno condizione e morale diametralmente opposti.

Finalmente ci siamo, Caputi e Bulgarelli da Anfield Road (o almeno così credevo ai tempi) leggono e commentano le formazioni, inquadrano la gara e cercano di riportare l’atmosfera a dir poco elettrica che rimbalza da Liverpool.

Ma proprio quando ripenso al contrasto fra l’adrenalina che colava dal piccolo schermo e l’indifferenza del mio ambiente domestico mi abbatto un po’.
Sarebbe stato bello respirare la stessa attesa anche da questa parte del video, commentare le possibilità dei Gunners e le scelte tattiche di Graham, i titoli dei giornali e l’esodo speranzoso dei tanti partiti in mattinata da Islington alla volta di Anfield.
Sarebbe stato bello insomma vederla con un appassionato, magari un tifoso.

Tipo Nick Hornby, per esempio, uno che sulla sua ossessione per l’Arsenal ha scritto addirittura un libro, Fever Pitch.
Un libro meraviglioso, in cui qualifica questa serata come "Il più grande momento in assoluto".

Ne fa un racconto emozionato e coinvolgente, come piacerebbe a me, che mi abbandono alla fantasia e mi vedo seduto di fianco a lui, teso ma disincantato, in attesa del fischio d’inizio.

Io: "Allora Nick, come hai passato la giornata?"; gli chiedo fra l’ironico e il provocatorio.

Lui: "La verità? stamattina sono andato ad Highbury a comprare questa maglia nuova, così tanto per fare qualcosa…capisco che indossarla davanti al televisore non aiuterà molto i ragazzi, ma almeno mi ha fatto sentire meglio…a mezzogiorno, intorno ad Highbury c’erano già decine di pullman e macchine, e tornando a casa ne ho incrociati parecchi assurdamente ottimisti…sono stato male per loro, davvero…erano solo uomini e donne che andavano ad Anfield a perdere al massimo un campionato, ma a me sembravano soldati in partenza per una guerra senza ritorno…"

Io: "Insomma non ci credi proprio…però hai comprato una maglia nuova per l’occasione"; lo martello adocchiando la replica shirt nuova di zecca.

Lui: "Che vuoi che ti dica, dopo tanti anni ho smesso di crederci davvero…Dal 1971 non siamo mai stati davvero in corsa per il titolo, anche se un paio di anni fa restammo in testa per qualche giornata…in questi anni ho visto decine di partite, moltissime di campionato, e quasi tutte senza alcun risvolto di classifica…è chiaro che alla fine ti abitui, e anche se un tifoso dovrebbe sempre covare l’illusione della vittoria, io avevo ormai abdicato ogni speranza di lottare per il titolo…quest’anno, poi…con una squadra così giovane, l’unico innesto di Steve Bould dallo Stoke e i bookmakers che in estate ci pagavano 16-1 per la vittoria finale, non avrei mai pensato di dover tornare a soffrire così per un campionato prima sfiorato e poi regalato per così poco…"

Io: "Quest’anno solare però lo avete iniziato in testa e ci siete rimasti quasi fino a oggi, quindi un po’ ti sarai fatto coinvolgere."

Lui: "Un po’? Faccio fatica ad ammetterlo anche a me stesso, ma dentro ho un vulcano in eruzione. Anche se non è così dall’inizio. Ricordi la prima di campionato, in casa del Wimbledon? Fashanu in gol dopo sette minuti, non proprio l’inizio che ogni tifoso sogna.
Poi per fortuna il loro portiere finì dentro la porta con un pallone innocuo fra le braccia e ci regalò il pareggio.
Poi si scatenò Alan Smith e finì 5-1 per noi, alla fine quasi non capivo cosa fosse successo."

Mi faccio trasportare nel "film" della stagione che si conclude stasera e lo stimolo sui momenti salienti: "Rimonta, episodi fortunati, Alan Smith…tre costanti di tutta la stagione."

Lui: "Già, hai proprio ragione. Alan è stato straordinario, secondo me il migliore e spesso decisivo. Di testa le ha prese tutte, ma ha inventato anche di piede alcuni gol fra il memorabile e il fortunato."

Io, che non voglio perdere l’occasione di poter finalmente parlare con qualcuno che mi capisca: "Tipo il pareggio a Nottingham, quando Lukic aveva regalato il pallone dell’1-0 a Clough e lui indovinò un lob dal limite dell’area mettendo il piede in una mischia selvaggia."

Lui: "Giusto, vedo che il campionato l’hai seguito. Comunque di gol così ne ha fatti tanti, dei 22 totali segnati fino a stasera molti sono stati cruciali, tipo il pareggio di testa in pieno recupero contro il Southampton, dopo essere stati sotto 2-0 a sette minuti dal termine, oppure quello di testa al Villa Park, saltando più in alto del portiere in uscita. In quella partita Smith fu gigantesco, completando l’opera con un’altra torre da cui scaturì il 2-0 finale sul Villa."

Io: "E pensare che proprio il Villa nella gara d’andata aveva freddato gli entusiasmi del dopo-Wimbledon."

Lui: "Già, quella sconfitta alla 2° di campionato, in casa, ci fece tornare subito sulla terra. Per fortuna i ragazzi risposero subito alla grandissima nel derby con gli Spurs."

Io: "Quella fu mitica, una delle migliori partite dell’anno. L’esordio assoluto di Gazza con la maglia degli Spurs, in casa, nel derby. Le aspettative erano altissime, poi Winterburn inventò quel gol d’esterno dal limite dell’area e gelò White Hart Lane."

Lui, rapito dal ricordo estatico di quel pomeriggio "Loro pareggiarono, ma era il nostro giorno. Alla fine celebrammo il 3-2 cantando a squarciagola sulle nostre tribune, urlando ancor più forte quanto più le loro facce intorno erano scure".

Io: "La rincorsa vera partì proprio da quel giorno, nonostante la sconfitta per 2-1 contro lo Sheffield Wednesday qualche settimana dopo, fino a febbraio fu un crescendo irresistibile".

Lui: "Infatti fu allora che cominciai timidamente a crederci. Vincemmo ad Upton Park, in casa del QPR rimontando da 0-1 a 2-1 nei minuti finali, a Coventry, a Goodison Park con l’Everton, dove uscimmo addirittura fra gli applausi".

Io: "Nel frattempo ci fu anche l’andata con il Liverpool, ad Highbury, altra rimonta".

Lui: "Era inizio dicembre, noi inseguivamo il Norwich capolista ed avevamo da affrontare di seguito Liverpool, Norwich e Manchester United.
Con i Reds fu soffertissimo. Ad inizio ripresa Barnes segnò per loro, lo fece dopo uno slalom fantastico, eppure a vederlo da fermo in quei giorni pareva addirittura soprappeso. Per fortuna ci pensò ancora Smith a rimettere le cose a posto, ma nel finale Barnes colpì una traversa clamorosa su punizione e poi Aldridge sbagliò un gol di testa da solo davanti a Lukic.
Che sospiro di sollievo, se oggi siamo ancora in corsa lo dobbiamo anche a quella partita".

Io: "Però non vi è andato sempre tutto per il verso giusto. Dopo l’1-1 con il Liverpool giocaste in casa della capolista Norwich e finì 0-0 dopo che l’arbitro vi fece ripetere un rigore che Marwood aveva segnato al primo tentativo".

Lui: "E che poi al secondo sbagliò.
Certo, qualche beffa l’abbiamo incassata anche noi.
All’Old Trafford, per esempio, Adams ci portò in vantaggio, sembrava tutto fantastico, poi a una manciata di minuti dal termine sempre lui realizzò un autogol che deve aver fatto ridere tutta l’Inghilterra, noi esclusi".

Io: "A quel punto eravate stati in testa per quattro mesi ma il Liverpool vi agganciò proprio quel giorno".

Lui: "Precisamente. Conquistammo la vetta a fine anno, dopo il successo al Villa Park, e la celebrammo nel derby di ritorno con gli Spurs.
Si giocò nel giorno in cui fu scoperto il nuovo orologio nella Clock End.
Altra giornata da ricordare, con un Merson sontuoso che realizzò l’1-0 e poi giocò un contropiede fantastico prima di servire a Thomas la palla del raddoppio.
In quel momento eravamo inarrestabili.
Il 18 febbraio avevamo 15 punti in più del Liverpool, anche se con una gara in più. 15 punti, capisci?".

Io: "Mi ricordo bene, i Reds erano completamente fuori dai giochi, al 6° posto.
E nonostante la prima mini-crisi di febbraio, dove vinceste solo 2 partite su 5 (di cui 4 in casa), i bookmakers vi davano quasi alla pari per il titolo, con il Liverpool (nel frattempo risalito a –8) pagato 16-1".

Lui: "E’ lì che abbiamo cominciato a dilapidare tutto. A fine marzo andammo a vincere 3-1 a Southampton. Di quel giorno mi ricordo soprattutto lo slalom fantastico di Rocastle per il 3-1 e le urla razziste dei tifosi di casa all’indirizzo dei nostri giocatori di colore. Purtroppo fu una "sveglia" breve, perché due settimane dopo i Reds ci affiancarono in testa, e da allora ce la giochiamo testa a testa".

Una volta rotti gli argini, mentre giungono le prime immagini da Anfield, spostiamo l’attenzione sulle formazioni, in quel momento in sovrimpressione.

Io: "Graham insiste anche stasera sulla difesa a 3.
Va bene che ha tenuto in piedi la baracca negli ultimi due mesi, ma non è un po’ troppo difensiva visto che si deve vincere con due gol di scarto?".

Lui: "Credo che voglia sfruttare al massimo la nostra arma numero 1, i colpi di testa.
Con Adams, Bould e O’Leary contemporaneamente in campo e Smith davanti, quelli del Liverpool non la prenderanno mai, almeno spero che il motivo sia questo, e non la voglia di finire "con onore" magari uscendo imbattuti da Anfield".

La formazione del Liverpool è impressionante.
In campo Nicol, Hansen, McMahon, Whelan, Barnes, Aldridge, Rush.
In panchina addirittura il lusso di Peter Beardsley.
Mentre la leggo mi lascio sfuggire un’occhiata di "compassione" verso Nick.
Ci vorrebbe davvero un miracolo, anche perché l’ambiente è assolutamente "aggressivo".
La Kop canta altissimo, sembra un urlo di battaglia che ti fa tremare dentro.
Dalglish si guarda intorno come spesso fa, e sorride.
Sembra sicuro, e d’altra parte come potrebbe non esserlo, con 40.000 scatenati tifosi a sostenerne l’ultimo sforzo?
Si parte, la prima palla è dell’Arsenal, in una non indimenticabile divisa giallo-nera da trasferta.
Il contrasto con il rosso fuoco del Liverpool è quasi presagio di quello che sembra prospettarsi sul campo.
La prima vera occasione è però dell’Arsenal, con Bould che a Grobbelaar battuto si vede respinto sulla linea il colpo di testa.
E' però l’unica vera fiammata del primo tempo, i padroni di casa provano qualche tiro da fuori ma Lukic è attento.
La tensione è alta, la posta altissima, ma è chiaro che il passare dei minuti giova solo al Liverpool.

Nell’intervallo Nick è ancora più sconsolato di prima: "Dai Nick, lo ha detto anche Graham che lo 0-0 all’intervallo non sarebbe stato catastrofico.
Ci vuole un episodio, e tutto si riapre. Anche loro sono uomini e sentono la tensione".

Lui annuisce ma non ci crede.
Poi si riparte e l’adrenalina può scaricarsi sul campo.
Al minuto 52 Rocastle finisce a terra nei pressi del vertice sinistro dell’area del Liverpool, si accende quasi una mischia con Whelan che ha commesso il fallo, poi finalmente Winterburn può battere.
E' un attimo, la difesa si ferma e Smith è fulmineo nell’avventarsi sulla palla e sfiorarla quel tanto che basta a ingannare Grobbelaar.
Il tocco è così leggero che i Reds protestano con l’arbitro perché il calcio di punizione era di seconda e ritengono non l’abbia toccato nessuno.
L’arbitro si consulta con il guardalinee mentre milioni di persone trattengono il fiato davanti alla TV, noi inclusi.
Poi punta il dito verso la metà campo e convalida. 1-0, i fedelissimi giunti da Londra, stretti in un angolo dietro la porta del Liverpool fanno festa e cominciano a sperare.
E anche Nick si scioglie un po’, in fondo ora serve solo un gol, e il Liverpool non sembra in grandissima serata.
Ablett salva due attacchi dell’Arsenal, ma è al minuto 73 che il destino sembra compiersi.

Richardson riesce a toccare verso lo smarcatissimo Michael Thomas in piena area.
Thomas si gira, deve superare solo il portiere ma gli tira addosso, e tutto sembra finito.

I minuti passano veloci, Nick sembra aver "esalato" l’ultimo respiro di speranza sul tiro di Thomas, e così i giocatori in campo.
Il Liverpool cresce, quasi sollevato dall’occasione clamorosa buttata al vento dai Gunners.
A un certo punto compare nell’angolo della TV perfino l’orologio, a rincarare la sofferenza di chi è davanti al video.
Segna 88.00, proprio mentre Beardsley si invola solo in contropiede.

Sembra la conclusione perfetta, la palla arriva a Aldridge che però incespica, si incarta e sciupa tutto.
Nell’azione è rimasto a terra a metà campo Richardson, valoroso centrocampista dell’Arsenal.
I secondi scorrono mentre gli si prestano le cure. Sono minuti interminabili, tutto sembra sospeso come in un fotogramma.

Nick è pietrificato, mormora quasi fra se e sé "Buttarlo via così, incredibile".

Io: "Hai ragione, se finisse così sarebbe davvero una beffa. Per un gol, credo non sia mai successo".

Lui, mentre i secondi passano e Richardson non accenna a rialzarsi: "Non è questione di un gol. Anche dopo esserci fatti riprendere ad aprile, dopo la pausa per Hillsborough, abbiamo battuto il Norwich, era di nuovo tutto in mano nostra. Poi quelle due maledette partite in casa".

Io: "Derby e Wimbledon. Hai ragione, un solo punto in quelle due gare è stata la fine, soprattutto il 2-2 con il Wimbledon".

Lui: "Come si fa a farsi riprendere due volte, in casa, da una squadra che all’andata avevamo demolito? Winterburn aveva inventato un altro super-gol, Merson ci aveva riportato avanti dopo il pareggio di Cork. E poi, quell’esordiente, McGee, con quel tiro assurdo che non ripeterà mai più".

Conclude quasi disperato mentre Richardson finalmente si rialza.
La telecamera si sposta sui protagonisti.
Dalglish è tirato ma misurato, Graham continua ad urlare suggerimenti, come se fosse ancora tutto in ballo.
Barnes incita i suoi, McMahon urla che manca un minuto, uno solo.
L’orologio supera i 90.45, poi scompare.
Ormai solo sgoccioli, la palla torna verso la porta di Lukic, è proprio un contrasto di Richardson a recuperarla.

Il portiere allunga a Dixon, che lancia lungo su Alan Smith.
Per la millesima volta in stagione il bomber dei Gunners vince il contrasto, difende la palla e poi la tocca.
Un tocco magico, verso il centro, dove arriva Thomas.
Ancora lui, che aveva sbagliato l’occasionissima qualche minuto prima.

Il centrocampista dei Gunners cerca di superare Nicol, tocca male ma la palla incoccia lo stinco del difensore e gli torna davanti.
Ora Thomas è solo, in un attimo che sembra durare un secolo si invola verso Grobbelaar, aspetta la mossa del portiere e finalmente piazza il destro alle sue spalle, in fondo alla rete, per l’incredibile 2-0.

A quel punto succede di tutto, le capriole "elettriche" di Thomas mentre i compagni lo raggiungono le avremmo viste solo dopo, in quel momento è come essere in un’altra dimensione, senza tempo né gravità.

Saltiamo tutti, increduli ma come alleggeriti d’improvviso di tutto il peso di otto mesi di passione, fatica, illusione.
La partita riprende, ma non c’è più tempo, l’arbitro fischia e lo spicchio di Anfield che ospita i tifosi Gunners esplode senza argini in una felicità irripetibile.
Dietro la porta di Lukic qualcuno dalla Kop si sente male, viene trasportato fuori a braccia.
Ma vincono anche loro, che dopo qualche istante di sbigottimento per un titolo perso all’ultimo minuto dell’ultima partita intonano il più bel "You’ll never walk alone" mai sentito.

Il coronamento più toccante ad una giornata irripetibile, mentre le telecamere fissano per sempre la disperazione di Dalglish e dei suoi, Adams che va da Aldridge ad accarezzargli i capelli (avremmo scoperto dopo che era solo una presa in giro per contrappasso a quanto Aldridge aveva fatto con Steve Chettle del Forest dopo il suo autogol nella semifinale di FA Cup), Graham che chiama i suoi a raccolta, e infine il capitano che alza la Coppa ad Anfield.

E Nick?
Lui tutto questo non l’ha visto, al fischio finale si è fiondato fuori in strada gridando a piena voce, alla ricerca di una bottiglia di spumante con cui festeggiare.
O forse sono io che mi sono svegliato dal mio "sogno", ritrovandomi solo nella mia casa a metabolizzare l’emozione di una serata di sport che nessuna fantasia avrebbe potuto partorire.
Anche se non ero ad Anfield, infatti, né a Londra a guardare la partita con Nick Hornby, questa partita non la dimenticherò tanto facilmente, anche perché nulla di quello che è seguito (calcisticamente) negli anni mi ha regalato brividi così forti.

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