..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

lunedì 9 giugno 2014

EVERY GAME IS A GAME 7

Lo era stata gara-1, nonostante il tabellino finale scriveva a referto un +15 per San Antonio. Lo è stata gara-2. Per intensità, agonismo, voglia da parte di entrambe di non lasciare nulla al caso. Sarà così gara-3, e tutte quelle che serviranno per diventare campioni: ogni gioco sarà come una gara-7.
A spuntarla, stavolta, sono stati quelli di Miami. Non a caso. L'intensità proposta nei minuti iniziali e per tutto il primo tempo ha portato San Antonio a dover spendere un numero considerevole di falli, condizione che ha limitato e di molto quei minuti che in gara-1 avevano permesso a Ginobili e Leonard in particolare di creare quel gap risultato decisivo al fischio della sirena.
I 6 falli totali di Kawhi Leonard, i 3 della prima frazione di Ginobili, i 2 di Green nei primi due minuti di gioco hanno dettato i tempi di un match che è rimasto quasi sempre nelle mani di Miami, anche quando il parziale dava ragione agli Spurs.
Per carità. Una maggiore dose di fortuna avrebbe permesso a Popovich e compagni di portarsi sul 2-0, e nessuno avrebbe gridato allo scandalo. Gli errori di Ginobili e Duncan negli ultimi due di gioco hanno agevolato il compito di Miami. Ma c'è da dire che un 2-0 sarebbe stato oltremodo punitivo nei confronti di Miami, rimasta agganciata agli Spurs sia in gara-1 che in gara-2.
Diciamo che il risultato di 1-1, dopo aver visto entrambe le gare, è il risultato più giusto che il perimetro potesse decretare.
Questo per far comprendere che a Miami tutto sarà possibile, che gli Heat non partono vincitori, che gli Spurs hanno i mezzi per espugnare la American Airlines Arena.
Protagonisti della serata texana due uomini, che ancora una volta hanno regalato una pallacanestro celestiale.
Il primo è uno sconfitto, Tim Duncan.
Con i suoi 18 punti e 15 rimbalzi ha raggiunto, eguagliando un certo Magic Johnson, le 157 gare di Playoffs con almeno una doppia doppia.
Un risultato incredibile che evidenzia, se mai ce ne fosse bisogno, il talento del caraibico, arrivato alla soglia dei 38 anni come se nulla fosse. Nient'altro che chapeau!!!
La prima pagina, però, spetta al prescelto. Gara-1 l'aveva visto uscire anzitempo fermato da un problema al polpaccio (crampi), e dovendo vedere senza colpo ferire la squadra perdere.
Gara-2 non era iniziata come probabilmente avrebbe voluto, o forse, vista la statura del campione, volutamente frenato per offrire il meglio di se quando il match l'avrebbe richiesto.
Fatto sta che il primo quarto s'era concluso con un magro 1-4 dal campo e San Antonio avanti per 26-19.
Poi la calata in campo, tra gli esseri umani, come un semi-Dio.
Punti a referto 35 (14-22), rimbalzi 10 (8 difensivi), 3 assist, 2 palle rubate. Ma più che altro quel senso di invincibilità che a cavallo tra il terzo e l'ultimo quarto ha calcato il perimetro del AT&T Center in ogni sua forma. Per tre minuti s'è visto in campo un atleta che poco ha a che spartire con tutti quelli che fanno il suo mestiere, e nonostante questo c'è ancora chi si ostina a criticarlo, a trovargli difetti, a credere che non sia il migliore.
A prescindere da come finiranno queste finali, il trono di LeBron rimarrà ancora integro, perché nessuno al mondo, in questo momento, può essere paragonato al ragazzo proveniente da Akron.

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