Si stava lì, in attesa, aspettando l'evento.
Le chiacchiere con i "colleghi" le solite, evidenziando questo e quell'altro aspetto.
La giornata primaverile di Charlottenlund accoglieva un folto pubblico, e seppur non presente gli odori del luogo mi sembrava annusarli.
Si stava lì, in attesa.
Il pomeriggio della Copenhagen Cup scivolava via tra l'assunto di Alfas Da Vinci e quello di Amour Du Coglais, avvicinando cuore e mente a quello che la notte precedente era stato protagonista assoluto nei sogni di alcuni.
L'ansia incalzante faceva spostare l'attenzione su dove ci si sarebbe trovati dopo i primi 400 metri, quali scelte avrebbe fatto Robin, quale sarebbe stata la tattica ideale.
E intanto si stava lì, in attesa.
La partenza della decima corsa segnava indelebilmente l'inizio della mezz'ora più lunga della giornata.
Quando Örjan Kihlström tagliava per primo il traguardo con la sua D'One le chiccchiere stavano a zero.
Ora si stava lì.
Come ogni Gruppo I che si rispetti i protagonisti coinvolti sfoggiavano il vestito della gran festa.
Tutti in grande ordine fisico, tutti pronti a darsi battaglia per i 2000 metri della Copenhagen Cup.
Come un figlio, il nostro Robert Bi era il più bello.
Il tempo, i minuti, erano diventati veloci. Quel macigno delle ore rimasti lì in attesa si era trasformato.
La macchina apriva le ali. Ci siamo. Sempre lì.
Il "Rock 'n Roll" accennato dalla telecronista danese faceva da presagio a quello che da li a poco sarebbe accaduto.
L'apnea era immediata, figlia di una passione appiccicata addosso come un tatuaggio.
Al passaggio le prime parole espresse, quando in schiena a Voltigeur De Myrt ho esternato: siamo nel posto più bello del mondo.
Di fronte, però, le sensazioni non raccontavano nulla di buono.
Maven cercava la fuga, Banks di dentro chiamava la mamma e la zia, il buon Gelormini si immolava nella disperata ricerca di chiudere il gap con l'americana.
L'occhio non poteva far altro che constatare l'impossibilità di raggiungere la giumenta di Johnny.
Troppo distante, troppo bella nella sua azione.
Il volo in terza con atterraggio sulla retta d'arrivo, mentre si viaggiava come dei pazzi, è qualcosa che un giorno andrà analizzato da qualcuno di veramente bravo.
Da togliere il fiato.
Proprio in quell'istante, come sottolineato da chi l'occhio lo tiene clinico, aggiustavamo la figura.
Gli ultimi 100 metri divenivano leggenda.
Il palo si avvicinava ma la totale copertura di Maven non avveniva.
Ma tutto stava dalla nostra parte: azione, parziale, cattiveria.
Primi, primi, primi!!!
Sull'anello di Charlottenlund calava il gelo.
La telecronista danese, tra l'incredulità e lo stupore, ripeteva più volte il nome di Robert.
Difficilmente dimenticherò quanto fatto dopo il palo: uscito di casa a braccia aperte, rivolto verso il sole.
Il sogno s'era realizzato, gli Dei del trotto andavano ringraziati.
Il monitor mi riproponeva le immagini, guardate come fosse la prima volta.
Tre le parole che con ripetitività uscivano dalla mia bocca.
Cos'ha fatto?! Cos'ha fatto?! Cos'ha fatto?!
Il ragguaglio cronometrico, misurato in 1.10 spaccato, non ha cambiato una sola virgola al risultato visivo. Entrambi impressionanti.
In premiazione stava bello come quel sole che pochi minuti prima ero andato ad abbracciare.
Quella mantella rosso fuoco che lo avvolgeva bruciava gli ultimi ricordi di un'Atlantique regalato ad altri, i visi di Bakker e Hagoort proiettavano luce piena sul domani.
Quel domani in cui saremo lì, aspettando il prossimo evento. Ancora una volta in attesa.
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