Quando Pio La Torre torna nuovamente in Sicilia nell’autunno del 1981 per prendere in mano la direzione del Partito comunista regionale, dopo la parentesi romana durata 12 anni come membro della Direzione e della Segreteria nazionali del partito, ha affidato “il preciso compito di dare la precedenza su tutto alla lotta contro l’installazione dei missili” a Comiso. Il 7 agosto di quell’anno il Consiglio de ministri ha approvato la decisione della Nato di collocare 112 missili nucleari di media gittata, Cruise, nell’aeroporto siciliano. Con la fine della distensione nelle relazioni Est-Ovest, il mondo è tornato alla fine degli anni Settanta in piena guerra fredda. La Sicilia è così destinata a ospitare fino al crollo dell’Unione sovietica la più importante base militare dell’Europa del Sud.
Il 4 aprile 1982, si tiene a Comiso la storica manifestazione pacifista a cui partecipano un centinaio di migliaia di persone, che chiede la sospensione dei lavori per l’installazione delle testate nucleari, con l’obiettivo di facilitare le trattative per il disarmo in corso a Ginevra. Pio La Torre, in testa al corteo, e i comunisti siciliani, ne sono gli artefici. Anche se il messagio pacifista riesce a raggiungere attivisti e sensibilità esterne al Pci, coinvolgendo le forze della sinistra, le Acli, i movimenti ambientalisti e non-violenti. La manifestazione aveva fornito lo slancio necessario per la raccoltà di un milione di firme.
Quattro giorni dopo cominciavano i lavori a Comiso per l’installazione dei missili. Il 30 aprile, alle 9:20, in via Turba, a qualche centinaio di metri dalla casa dove era nato nella borgata palermitana di Altarello, La Torre è aggredito da un commando mafioso mentre si sta recando alla sede del Pci regionale. La Torre muore all’istante sotto la raffica dei proiettili. Il compagno, amico e guardia del corpo Rosario di Salvo ha il tempo di estrarre la pistola e sparare cinque colpi prima di perdere la vita.
Ai funerali una folla gremisce Piazza Politeama. La scenografia è quella classica adottata nella simbologia di partito per i riti funebri, che a sua volta eredita la tradizione dei funerali di stato. I feretri avvolti dalla bandiera del Pci, le bandiere in alto che sventolano durante il corso della cerimonia, la fila di ghirlande ornate di fiori rossi, il grande proscenio allestito al cospetto delle bare con la scritta bianca su sfondo rosso in onore dei compagni defunti, l’inno dell’Internazionale che chiude la celebrazione, mentre la folla si congeda.
Ma non è un funerale come un altro per i comunisti, e per gli italiani. Al passaggio dei feretri, la folla, partecipe, ma composta, sembra preferire l’applauso ai pugni chiusi, che pur si scorgono dalla riprese Rai dell’epoca punteggiare la folla nell’ultimo tratto del percorso che conduce alla piazza. Enrico Berlinguer vi pronuncia un discorso sobrio, come è nello stile del segretario del Pci Istituzionale, nel senso partitico. Senza sbavature. A tratti, appare ingessato. La voce è sul punto di spezzarsi, per un frangente, solo dopo essersi rivolto ai familiari, per dire che i due compagni “saranno ricordati da una moltitudine di siciliani e di italiani come due intrepidi combattenti che hanno lottato per la causa giusta”.
Il messaggio di Berlinguer si rivolge principalmente al partito e ai suoi militanti e simpatizzanti. Non è un caso probabilmente se il discorso acquista tono quando abborda la questione della pace e della battaglia contro l’installazione dei missili a Comiso. Come a voler rivendicare la giustezza e l’opportunità di quella linea, nonostante l’enorme costo pagato.
Ammazzato dalla mafia, contro la violenza mafiosa La Torre aveva forgiato sin dagli esordi la sua militanza politica e sindacale. Figlio di un povero contadino semibracciante, aveva aderito al Pci nel 1945. Per la Sicilia, sono gli anni epici del movimento contadino, delle occupazioni delle terre, del Pci diretto da Girolamo Li Causi, ma anche della mattanza mafiosa che miete decine di militanti e dirigenti socialisti e comunisti. Una guerra civile strisciante. Nel 1948, era toccato a La Torre prendere il posto a Corleone di Placido Rizzoto, trucidato dalla mafia, alla testa della locale Camera del lavoro.
Trent’anni dopo, il terrorismo mafioso è tornato in azione, ma è di segno diverso. Colpisce più in alto, in modo selettivo, e ha finalità eversive. Attacca lo Stato e i suoi rappresentanti. Il primo che aveva maturato la consapevolezza della pericolosità dell’incarico di ritornare in Sicilia era stato proprio Pio La Torre. Due settimane prima di essere assassinato, aveva trascorso la Pasqua a Roma con la famiglia dall’amico Emanuele Macaluso. Dopo aver pranzato, passeggiando sul lungo Tevere, La Torre aveva delineato a Macaluso i nuovi assetti politico-mafiosi che si stavano imponendo nell’isola, dopo l’uccisione dei democristiani Michele Reina e Piersanti Mattarella. E gli confidò: “Ora tocca a noi”.
I processi hanno individuato gli esecutori dell’omicidio e circoscritto il movente alla lotta condotta da Pio La Torre contro l’organizzazione mafiosa. La relazione di minoranza della Commissione nazionale antimafia della VI legislatura, e la legge che sarà approvata postuma che introduce nel codice penale la previsione del reato di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis) e la confisca dei beni alla mafia, portano il suo nome. Secondo un pentito, i mandanti sarebbero da individuare tutti all’interno dei vertici mafiosi: Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Antonino Geraci. Ma secondo alcuni non si può escludere la pista atlantica, ovvero che la politica di opposizione del Pci all’installazione dei 112 missili Cruise a Comiso avesse determinato, contribuito o accelerato la condanna a morte del dirigente comunista. Ne erano tra gli altri convinti Luigi Colajanni, suo vice alla direzione del Pci siciliano durante la breve stagione politica che lo condusse alla morte, e Giovanni Falcone.
Un libro stampato dall’Istituto poligrafico europeo, frutto di un convegno organizzato dalla Fondazione Gramsci e dall’Istituto Gramsci siciliano, curato da Tommaso Baris e Gregorio Sorgonà, ritorna adesso sulla biografia di Pio La Torre. Gli autori hanno inteso escludere esplicitamente una prospettiva celebrativa e teleologica che riducesse il dirigente comunista siciliano al solo impegno antimafia. Non hanno tuttavia evitato – e a ragione – un approccio empatetico con l’uomo politico che ha consapevolmente voluto testimoniare, con il massimo sacrificio, la verità della sua causa.
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