Il dolore strazia, forgia, strappa e ricuce.
Scava nella fertilità delle angosce, delle ansie, laddove la condizione si trova ad affrontare enormi difficoltà.
In queste ultime l'essere umano ha da sempre la capacità di offrire il meglio di se, di cogliere nuove opportunità, di partorire la bellezza.
Abbiamo un rapporto stretto con il dolore, una forma di desiderio masochistico che si snoda su sentieri da noi stessi tracciati.
Sviluppiamo teorie di ogni tipo per dare un senso al male che produciamo, per spiegare l'inspiegabile, per negarci e negare quelle vette di felicità che così faticosamente scaliamo. Perché il dolore è un nostro prodotto, una nostra trasposizione, un figlio che cresciamo con cura e attenzioni.
Gli stili stabiliti nella poetica araba e persiana hanno influenzato linguaggi che hanno prodotto pensieri riconducibili alla vita terrena: nasciamo senza portare nulla, moriamo senza poter portare nulla, ed in mezzo, nell'eterno che si ricongiunge nel breve battito delle ciglia, litighiamo per possedere qualcosa.
Patrimoni che non sono una creazione della vita ma di noi stessi. Plasmiamo passioni, amori, rancori, speranze, crogiolandoci nel vittimismo quando non raggiungiamo il risultato sperato.
Affibbiamo al destino i fallimenti, riversiamo sull'ingiustizia gli errori.
Ma non capiamo che il dolore è il frutto delle nostre scelte. E ancor meno razionalizziamo che ciò che fa male permette di elevarci.
Il dolore va conosciuto, educato, usato. Rendendo possibile la generazione di una stella danzante attraverso il caos che alberga dentro di noi.
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