Possiamo girarci intorno quanto vogliamo.
La verità è che quello che non le perdonano, e non le perdoneranno MAI, è di essere una donna e una persona libera.
Non le perdonano di essere partita, due anni fa, per andare ad aiutare bambini che muoiono ancora per una banale diarrea, invece di sfogare le sue “smanie di altruismo” alla Caritas sotto casa.
Non le perdonano di avere 24 anni e credere ancora testardamente nell’umanità, nell’idea che valga la pena, contro ogni evidenza, lottare per quello in cui credi.
Non le perdonano quel sorriso grande così all’aeroporto sbattuto in faccia alla miseria degli odiatori, perché, nella loro idea, dovrebbe essere provata, contrita, quasi scusarsi per “quello che c’è costata”.
Non le perdonano di stare bene, di non pesare 30 chili, di non avere il volto scavato o tumefatto per le botte prese, perché una donna rapita deve almeno portare addosso i segni del martirio, altrimenti significa che è tutta una “messinscena”.
Non le perdonano, infine, di essere scesa dall’aereo con la veste islamica, semplicemente perché non corrispondeva alla favoletta dell’italiana ingenua e avventata rapita dai “tagliagole islamici” sopravvissuta grazie alla propria fede.
E così hanno deciso per lei che le hanno fatto il lavaggio del cervello, che è vittima della “sindrome di Stoccolma”, che, poverina, è sotto choc, non sa quel che fa, dice o prega.
In fondo, se ci pensate, i campioni della “libertà” e della “superiorità” della nostra cultura e della nostra “razza” (quasi sempre maschi, bianchi e ultracattolici) non hanno fatto con Silvia nulla di diverso di quello che, ogni singolo giorno, applicano a ogni singola donna di ogni singola età: decidere per lei cosa deve pensare, come vestire, dove poter andare, che lavoro può o non può fare, che tipo d’uomo sposare, persino quale dio pregare.
E, invece, all’improvviso, arriva questa ragazza milanese di 24 anni e, in un colpo solo, col sorriso più bello mai visto, rovescia secoli di perbenismo, pensiero unico e patriarcato tossico con la sua plateale, sfacciata ambiguità scaraventata contro le loro certezze assolute.
Non c’è traccia di verità assoluta in Silvia. Non c’è il giusto o lo sbagliato, i buoni e i cattivi. C’è solo una ragazza di 24 anni che è sopravvissuta a una prova estrema con una forza e una tenacia che pochi di noi avrebbero anche solo sognato di possedere, e che se ne strafrega di quello che voi aspettiate che faccia o che dica. E ve lo urla con il gesto più empio e irriverente di tutti in questo Paese ipocrita e bigotto: indossare una lunga Jilbab che le copre quasi per intero il corpo. E, per farvelo capire ancora meglio, per un attimo si toglie pure la mascherina e se la ride allegranente dei vostri giudizi e dei vostri pregiudizi, dei vostri insulti e delle vostre etichette.
Che ne sia o meno consapevole, non c’è gesto più autenticamente, orgogliosamente e profondamente laico e femminista di quello che ha appena compiuto Silvia Romano nei confronti di un’intera società di cui tutti quanti noi - volenti o nolenti - siamo permeati.
Uno schiaffo in faccia che sveglia, fa male e brucia.
Ne avevamo un disperato bisogno.
Bentornata Silvia, piccola grande donna libera.
Vai ovunque la vita ti porterà, ma non smarrire mai, per nessuna ragione al mondo, questa libertà.
di Lorenzo Tosa
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