Paolo Martini per Chi
Enzo Tortora
Questa è la più allucinante vicenda di malasorte, per chi ci crede, nella storia della tv italiana. Tutto ruota simbolicamente intorno al 17, un numero che per la smorfia napoletana vuol dire, guarda caso, “la disgrazia”. E la disgrazia di uno dei più grandi personaggi del nostro piccolo schermo, Enzo Tortora, comincia con l’arresto alle 4 e mezzo di mattino di un venerdì 17, nel giugno del 1983, con l’accusa di associazione a delinquere di stampo camorristico. In un altro sfortunato giorno 17, nel settembre dell’85, l’assurda vicenda giudiziaria porta alla dura condanna di Tortora, 10 anni e 6 mesi di reclusione. Ma di 17 arriverà pure l’assoluzione, nel marzo dell’86, una sentenza che viene confermata dalla Cassazione sempre il 17 (nel giugno dell’87) e chiude almeno l’incredibile calvario giudiziario. Cinque anni di galera e arresti domiciliari, di interrogatori e processi con accuse inventate, di grottesche indiscrezioni date in pasto ai giornali e alla tv, di verbali di pentiti non attendibili e di polemiche politiche. E, alla fine, nemmeno un anno dopo, nella cupa notte del 17 maggio 1988, l’agonia fisica vera e propria di Enzo Tortora nella stanza 304 della clinica Città di Milano: a divorarlo è un cancro, diagnosticato qualche mese prima. Ma, ben al di là della sfortuna e delle coincidenze del 17-disgrazia, il caso Tortora porta indelebilmente il tragico segno dell’umano, purtroppo umano. Forse, addirittura, di un complotto politico-giudiziario. Adesso siamo ormai nel ventennale dalla straziante morte di Tortora ed è ingiusto saperlo così dimenticato. È stato uno straordinario “present-autore”, un inventore e conduttore di trasmissioni popolari, al pari forse solo di Corrado, e più ancora di Mike Bongiorno o Pippo Baudo. Non merita certo l’oblio che, troppo spesso, gli è toccato persino nella sua Rai. Il suo ultimo show, un mercatino sentimentale intitolato Portobello, inchiodava 20 milioni di spettatori al venerdì sera sulla seconda rete della Rai (28 milioni era stato addirittura il record d’ascolto precedente all’arresto). Portobello è stato il programma dei programmi con la gente comune, l’hanno ricopiato poi in mille modi e riciclato a spezzoni in tante altre trasmissioni. Anche la lezione di quella sua tragica e clamorosa vicenda d’ingiustizia, che non deve apparirci così lontana, rischia di essere, purtroppo, ancora molto attuale.
LA SOFFIATA POLITICA
Il caso Tortora per me comincia verso le 15 del caldo pomeriggio del 16 giugno, a Milano, in via Fava, zona Melchiorre Gioia, dietro la Stazione Centrale, dove aveva sede allora Il Giorno. Ero il responsabile delle pagine spettacoli, una posizione guadagnata sul campo a 24 anni come cronista d’indiscrezioni sulla televisione. Prima della consueta riunione del pomeriggio il direttore, Guglielmo Zucconi, mi convoca nella sua stanza e, insolitamente, mi fa segno di accostare la grande porta di legno del suo studio, che in genere tiene sempre aperta. Mi guarda da sott’occhi con il tono un po’ più grave del solito, lui che era sempre così leggero e bonario. «Vedi un po’ tu di capirci qualcosa», sono le sue parole, «perché si dice che stiano per arrestare un grosso personaggio dello spettacolo in un blitz sulla camorra. L’indiscrezione filtra dal Palazzo della giustizia di Napoli, ma pare sia buona...Un uccellino mi ha cacato sulla spalla...».Zucconi, che era stato l’inventore della maschera di Scaramacai e autore di varietà, usava sovente queste espressioni colorite per indicare che l’informazione arrivava da un alto livello politico o istituzionale. «Potrebbe essere un nome sulle ultime lettere dell’alfabeto, mi ha suggerito la mia fonte...», continua il direttore. «Ho risposto subito: “Con la Z non mi viene in mente nessuno; escluderei proprio la V di Vianello... Alla U non saprei proprio chi dire…Alla T, boh, a chi devo pensare? A Tognazzi? O magari a Tortora, che ha pure un cognome napoletano?”. Va’, vai sopra, fai qualche telefonata e torna a riferirmi».
IL PRIMO AVVERTIMENTO
Un po’ scioccato e pure divertito, per lo show del grande indimenticabile maestro Zucconi, provo a cercare subito Tortora attraverso la fedelissima collaboratrice Gigliola Barbieri, la sua Barbie. Da poco avevo maturato un discreto rapporto di stima e di confidenza con il pur difficile personaggio. Tutto era cominciato con un piccolo diverbio durante una conferenza stampa a Retequattro: nelle pause del suo impegno in Rai, Tortora collaborava con la rete privata allora mondadoriana, dove si esercitava come intrattenitore di politica-spettacolo “ante litteram”. Il suo rotocalco Cipria su Retequattro è considerato l’antesignano di tutti i Porta a porta. In quel periodo Tortora preparava con Pippo Baudo addirittura le tribune politiche elettorali di Retequattro, con la formula nuova della presenza della gente comune e il titolo Italia parla.Verso le 16, finalmente, raggiungo al telefono il presentatore che stavo inseguendo da un’ora. È a Roma, in riunione. Gli riferisco, trafelato, delle voci di un suo imminente arresto nell’ambito di una grande retata di camorristi, e Tortora reagisce con divertita calma: «Ma si figuri! Son qui che lavoro, per le nuove tribune politiche di Retequattro. Domani mattina ho appuntamento in Rai per parlare del prossimo ciclo di Portobello». Torno da Zucconi, riferisco la smentita ma apprendo nuovi particolari. «Guarda che mi danno la notizia come confermata. E forse c’è di mezzo davvero pure Tognazzi», mi dice deciso il direttore. Bisogna considerare che, a quel tempo, Guglielmo Zucconi, padre di Vittorio, il quale è oggi una grande firma di Repubblica e direttore di Radio Capital, era un giornalista di lungo corso tra i più noti, di rango pari ai Montanelli e ai Biagi, per intenderci. Oltrettutto era appena stato parlamentare democristiano, dirigendo il settimanale ufficiale del partito cattolico La discussione. Non potevo non credergli.LA SECONDA TELEFONATA
Stavolta, più preoccupato che divertito, torno a richiamare Tortora. «Scusi se disturbo di nuovo, ma mi confermano che l’indiscrezione è attendibile: non potrebbe verificare lei direttamente in qualche modo?». E mi sento rispondere con qualche battuta al fulmicotone: «Sì, è confermato: ci sono dentro appunto Tognazzi e Tortora... Manca solo Vianello, così siamo a posto: il cast è al completo! Mah, chissà come nascono certe stranezze... La saluto, caro Martini, ci sentiamo per cose più serie». La notte a Roma, nella stanza d’albergo al Plaza di via del Corso, dove verrà poi arrestato, il presentatore ride di gusto con la sorella Anna, raccontando le nostre telefonate. Aggiunge che, in serata, altri cronisti lo hanno cercato per segnalargli la stessa indiscrezione. Prima dell’ultima buonanotte da persona normale, Tortora mostra tutto fiero alla sorella un maialino di porcellana che ha appena acquistato per la diletta figlia Silvia, esattamente uguale al primo salvadanaio che le aveva regalato da piccola. Silvia non lo avrà mai, perché i carabinieri che eseguono l’arresto smontano e sequestrano pure quell’innocuo oggettino alla ricerca di droga. Il maialino sparisce in caserma prima della raccapricciante sfilata di Tortora in manette organizzata per la ripresa delle telecamere. Mentre sale sul cellulare che lo trasporterà verso la cella 16 bis di Regina Coeli, Tortora è travolto da flash e telecamere. Vola pure qualche insulto. “Ladro, farabutto, ipocrita, faccia di me**a!”. E, invece, dovrebbero dargli del C******E, penso io sconsolato: è quello che si merita dopo che da 12 ore era stato avvertito.
“HA VIOLENTATO LA MADONNA”
Tre mesi dopo l’arresto, dal carcere di Bergamo, Tortora mi scrive la prima delle lettere che ho ritrovato, dove si legge tra l’altro: «Comunque, ricordi. Se le telefonassi, un giorno, dicendole che la cercano perché ha ingravidato la Madonnina, sul Duomo, beh, non rida. Scappi. Ma scappi sul serio, e non si fermi che oltreconfine. Ormai qui sono capaci di tutto». E, in effetti, mi ricordo con amarezza che già il giorno dopo il blitz non si parlava d’altro ossessivamente che di “Tortora camorrista”. Il mio direttore, Zucconi, mettendomi la mano sulla spalla, mi confida ancora: «Guarda, lo so che sei un tipo buono e ti affezioni alle persone. Lo so che ti sembra incredibile che ieri Tortora ti abbia risposto in quel modo... Ma mi confermano che ci sono cinque mesi d’indagini dietro al blitz di ieri, e anche Rognoni mi ha detto che la polizia e i giudici si sono mossi a ragion veduta...». Virginio Rognoni, esponente Dc della stessa corrente di sinistra, personaggio di casa tra Pavia e la Milano de Il Giorno. Il governo di allora si impegnò al massimo perché quella retata anticamorra, con dentro un nome così grosso e imprevedibile, potesse offuscare ben altri scandali di cui si parlava da mesi, come il caso legato al rapimento di un importante esponente Dc di Napoli. Il presidente Sandro Pertini, infine, si erge a intransigente difensore della magistratura persino dinanzi agli appelli innocentisti dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia: «Se ci sono prove, è l’unica considerazione valida dinanzi alla giustizia».
BERLUSCONI LO DIFENDE
Subito a caldo dopo il clamoroso arresto, mentre i telegiornali e i quotidiani d’Italia sbattevano il mostro Tortora in prima pagina, decisi di sentire l’opinione di Silvio Berlusconi. Da ormai quasi tre anni, precisamente il 30 settembre dell’80, aveva fondato Canale 5 e il successo gli sorrideva, come sempre, tra lo scetticismo di molti. Dopo avere strappato Mike Bongiorno alla Rai, puntava proprio all’ingaggio di Tortora, per superare finalmente la Rai anche al venerdì sera. Gli telefonai il sabato ad Arcore. «Scriva pure che oggi io non provo nessuna soddisfazione», mi dice, «per il danno indirettamente subito dalla concorrenza, ma soltanto molto dispiacere per Tortora. È una cosa incredibile, anzi io non ci credo proprio. E sono sicuro che si chiarirà tutto presto». Finite le dichiarazioni da pubblicare, Berlusconi si dilungò in spiegazioni con il giovane cronista. «Evidentemente si tratta o di un clamoroso errore o di un complotto. Per averlo con noi gli ho offerto di tutto, gli ho detto che ero disposto persino a prenderlo solo per i programmi giornalistici, e non per uno show alla Portobello. Si è mosso anche Indro Montanelli, che gli ha proposto a mio nome di venire a Italia 1 per fare proprio “la tv di Tortora e Montanelli”. Ma lui niente. È molto attento alla sua immagine e non vuole rischiare con un’avventura nuova. Non parliamo, poi, dei soldi! Tortora è un tipo che non ha interessi economici, non ha problemi di denaro, non ha bisogno di nulla. È solo uno che fa molto bene il suo mestiere, lo ama tantissimo e non ha assolutamente nemmeno un vizio o un punto debole. Glielo assicuro, ho studiato molto bene il soggetto, dato che m’interessa molto. Le accuse che gli rivolgono mi fanno solo ridere: è come se dicessero che io ho rubato qualche milione di lire. A parte il fatto morale, guadagno di mio già mille e cento miliardi all’anno, figurarsi! Martini, glielo giuro: sono pronto a prendere Tortora anche dopodomani, e per fargli firmare il contratto con il mio gruppo andrei personalmente nel parlatoio di Rebibbia».
IL TELEGRAMMA DI BAUDO
Ma l’amarezza di Tortora era legata soprattutto all’atteggiamento della “sua” Rai, da subito cinicamente colpevolista. Il suo nome fu ignorato persino nello spettacolo per i trent’anni di storia della tv. «È indispensabile in democrazia un’alternativa a questa Rai Tv puro portavoce del potere», mi scrive in un’altra lettera, concludendo con la promessa: «Farei altri 9 anni di galera, come li feci al di fuori della Rai, per dimostrare a che punto l’Ente di Stato è ridotto». Tortora riceve, però, tantissimi messaggi d’affetto dalla gente comune, prima di tutti dai poveri cristi qualunque dietro le sbarre. I carcerati, del resto, Portobello godevano da sempre di un occhio di riguardo, ed è uno dei motivi per cui era stato facile ai giudici trovare qualche vago elemento di contatto. Si muovono anche molti personaggi di primissimo piano: lo difendono pubblicamente Sciascia e Biagi, ma anche molto affettuosamente da subito Piero Angela e Raffaella Carrà. Anche Maurizio Costanzo si schiera pubblicamente dalla parte di Tortora, con una generosità che è difficile dimenticare, dato che era stato da poco pesantemente attaccato da Tortora. Tace, invece, per mesi il collega Baudo, con cui pure Tortora stava lavorando a Retequattro la vigilia del suo arresto. Ma il giorno del suo 55° compleanno, nella cella al secondo piano del carcere di Bergamo, Tortora finalmente riceve anche un telegramma firmato Pippo Baudo. Il testo, forse perché destinato a passare al vaglio della censura carceraria, incredibilmente recita: «Caro Enzo, nel pieno rispetto della magistratura, ti porgo i miei migliori auguri».Altro che rispetto! Fu un’indagine abborracciata come poche. La lente degli investigatori non si concentrò mai, per esempio, sulla singolare omonimia con un tale Rolando Tortora, che in quegli anni era, guarda caso, il colletto bianco della camorra nella Roma del potere politico. Secondo i giudici il Tortora delle agendine era Enzo, e basta: anche se i numeri di telefono non corrispondevano affatto. Sono vari, dunque, gli indizi che portano a ricostruire quella vicenda come un complotto politico-giudiziario. E si resta di pietra ancora adesso, persino a riascoltare le ultime parole che Tortora ormai in agonia mormorò alla sua fedele collaboratrice: «Barbie, che disastro! Purtroppo so già che resterà un sogno persino il mio desiderio di lasciare almeno una lezione, affidando l’eredità al comitato per la giustizia giusta...». E, in fondo, ancora oggi, di questa allucinante vicenda d’ingiustizia resta solo l’amaro di una famosa vita distrutta così, ormai vent’anni fa o giù di lì.
Dagospia 15 Maggio 2008
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