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giovedì 27 novembre 2008

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Dopo la strage di Mumbai Obama studi la storia dell'India e capirà che i Democratici sbagliano tutto sul terrorismo islamico (L'Occidentale del 27 novembre)
Dopo l’orrenda strage di Mumbai, Barack Obama farebbe beme a prendere in mano un libro di storia dell’India, perché vi troverebbe non solo la ragione antica di ben 500 anni del comportamento barbaro dei terroristi islamici, ma anche la smentita più netta e precisa delle analisi sul terrorismo islamico dei suoi consiglieri, in primis di Madeleine Albright.
Secondo questa scuola di pensiero, condivisa anche dalla sinistra europea e dall’intero universo del politically correct, il terrorismo islamico avrebbe essenzialmente un carattere “reattivo”. In Palestina sarebbe essenzialmente sorto quale reazione agli errori di Israele (in primis il rifiuto sinora di ritirarsi dai territori occupati nel 1967); in generale nei paesi arabi o musulmani, sarebbe la conseguenza dei disastri provocati dal colonialismo e dal più recente imperialismo. Questa demenziale tesi è largamente presente anche nel mondo culturale e universitario americano anche a seguito della sua codificazione nella teoria dell’”Orientalismo” elaborata da Edward W. Said.
Se solo si conoscesse all’ingrosso la storia dell’India, se la si fosse minimamente elaborata, tutti questi castelli d’analisi crollerebbero di botto, perché dietro i mitra che sparano raffiche contro incolpevoli passeggeri nella stazione di Mumbai, trucidando donne e bambini, così come dietro gli attentati ai treni, dietro alle mattanze di terroristi islamici che hanno fatto in tre anni dal 2004 al 2007, ben 3.347 morti, più che in Afganistan (e oggi siamo quasi a 4.000), ci sono le stesse dinamiche che muovevano i machete nel 1948, quando Ghandi rischiò la morte per opporsi ad una divisione sanguinosa del Dominion indiano in due Stati (India e Pakistan) e a una guerra di religione che provocò un milione di morti. Dinamiche che nulla hanno a che fare -anzi- con il retaggio coloniale e con la violenza imperialista (che pure vi fu, e fu feroce).
I mujaheddin che hanno seminato morte a Mumbai hanno un modello storico luminoso, agiscono per restaurare un Stato islamico che ha governato sull’India per due secoli, imitano le gesta di un grande leader musulmano lo shah Aurangzeb, che regnò dal 1658 sino al 1707, distruggendo con violenza il clima di tolleranza e di apertura alle altre fedi del regno di suo padre Shah Jahn (che lasciò nelle forme del Taj Mahl il senso universale del suo Stato) imponendo una feroce e dogmatica applicazione della shari’a, imponendo agli induisti e ai buddisti il pagamento della jiza, la tassa di sottomissione, vietando pena la morte i matrimoni misti e conducendo infine lunghe guerre contro i principi indù Marata (Maratti). La ferocia egemonica dell’Islam indiano, di poco precedente a quella del Islam wahabita arabo (sicuramente influenzato da Aurangzeb), è dunque tutta e solo interna alla storia dell’india precoloniale, con un lascito di violenze, sopraffazioni, e morti che è impressionante.
Se Barack Obama si occupasse di quella storia dell’Islam indiano così determinante nel mondo musulmano (i re Moghul ovviamente influenzarono tutto l’Islam asiatico, Afghanistan, Indonesia e Malesia incluse), se scoprisse che quella è stata la vicenda maggioritaria del mondo musulmano e che quella legata all’Impero Ottomano -soprattutto dal punto di vista culturale e teologico- è stata minoritaria, scoprirebbe poi che la verità del meccanismo “reattivo” fu esattamente opposta.
Inutile ricordare il patrimonio infame di violenza, espropriazione, furto e altre bestialità che è legato all’epoca coloniale europea. Ma è invece utile ricordare l’altro verso della medaglia, sempre sottaciuto, mai analizzato: il ruolo fondamentale di stimolo che la cultura dei colonizzatori ha avuto sull’evoluzione della cultura dei colonizzati. Barack Obama, di nuovo, si dovrebbe studiare la storia dell’India e scoprirebbe allora innanzitutto che nei due secoli di dominazione inglese, il conflitto islamo-induista così esplosivo nel secolo precedente, fu tenuto sotto controllo, salvo esplodere in maniera devastante solo nel momento in cui gli inglesi riconsegnarono l’India agli indiani.
Scoprirebbe infine che proprio la contaminazione positiva con la cultura dei dominatori inglesi ha permesso la formazione di èlites sia induiste che musulmane (centro, naturalmente, della rivolta contro gli inglesi stessi), che hanno saputo costruire la eccezionale democrazia indiana solo e unicamente perché hanno mediato le loro radici con gli stimoli della cultura europea. La figura eclettica del modernista Mahatma Ghandi e soprattutto di quel grande leader che fu Pandit Nehru, ne sono testimonianza indiscutibe. Obama potrebbe anche scoprire che solo e unicamente l’influenza inglese ha fatto sì che in un mondo musulmano culturalmente agonizzante e piatto grandi figure di modernizzatori come Sayyid Ahmad Khan, agli inizi dell’ottocento, fondassero grandi istituzioni universitarie come il Muhammedan Anglo-Oriental College, che ha forgiato tutta la classe dirigente islamica dell’India sino al 1948, proprio riscoprendo -grazie al colonialismo inglese, per una straordinaria eterogenesi dei fini- il pensiero aristotelico di quel Averroè, che tutto il pensiero islamico arabo-ottomano ha sempre spregiato.
Infine, Obama si potrebbe rendere conto della miopia delle sua consigliera Madeleine Albright e comprendere infine che al Qaida non è una organizzazione verticistica di terroristi, ma solo il nome simbolo di una visione feroce del mondo che ha milioni di simpatizzanti nel mondo e decine e decine di migliaia di seguaci.

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